Militari e ordine pubblico: binomio non sempre conciliabile col quadro giuridico
Il tema dell’impiego dei militari in servizio di ordine pubblico è stato trattato su queste pagine in autorevoli interventi dei generali Marco Bertolini, Giuseppe Cucchi e, precedentemente, Antonio Li Gobbi. Cucchi ha in particolare provocatoriamente proposto di abolire la (oramai) sottile linea di distinzione tra militari e forze di Polizia fondendo in un’unica struttura Esercito, Carabinieri e Polizia di Stato secondo il collaudato modello di impiego duale dei Carabinieri.
Non è da escludersi che in un futuro lontano, di fronte al prevalere di minacce ibride, si concretizzi una simile idea. Intanto bisogna qual è l’effettivo quadro giuridico, condiviso anche da altri Paesi, che regolamenta la materia.
La prassi nei Paesi europei
Le questioni giuridiche che contraddistinguono in Italia il tema della “militarizzazione” dell’ordine pubblico, sono le stesse che si riscontrano nelle principali democrazie occidentali. Il principio di necessità ed urgenza costituisce il pilastro fondamentale che regge l’intera costruzione.
Questo è anche l’approccio seguito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali stipulata a Roma nel 1950 la quale, all’art. 15, dispone che “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione” le parti contraenti possano adottare misure in deroga agli obblighi pattizi – con l’eccezione dell’intangibilità del diritto alla vita – nella “stretta misura in cui la situazione lo richieda …“.
In Gran Bretagna le forze di sicurezza militari potrebbero in teoria supportare le autorità civile in situazioni di estesa violenza interna simili a quelle verificatesi in passato nell’Ulster. In mancanza di un’espressa disciplina di tali funzioni, il concorso delle forze armate britanniche a straordinarie esigenze di carattere civile, compreso il mantenimento dell’ordine pubblico, viene inquadrato, in via interpretativa, nell’ambito del sistema di concorso alle emergenze civili regolamentato dal “Civil Contingencies Act”
egli Stati Uniti una specifica normativa che affonda le sue radici negli albori della storia repubblicana, proibisce espressamente che l’Esercito sia adibito a compiti di polizia locale (c.d. “Posse Comitatus“) a meno di contraria decisione presidenziale in caso di emergenza nazionale.
Lo “U.S. Code § 1385 – Use of Army and Air Force as posse comitatus” stabilisce infatti che “Whoever, except in cases and under circumstances expressly authorized by the Constitution or Act of Congress, willfully uses any part of the Army or the Air Force as a posse comitatus or otherwise to execute the laws shall be fined under this title or imprisoned not more than two years, or both“.
Analoga impostazione emergenziale è assunta dal sistema giuridico francese come risulta dalla Circolare interministeriale n. 500/1995 “Relative à la partecipation des forces armée au maintien de l’ordre”. Peraltro in Francia, sull’onda del dilagare di atti terroristici, il ricorso ai militari per far fronte alla minaccia è divenuto prassi comune con i l’impiego dei 10.000 uomini dell’Operazione “Sentinelle”.
Quanto alla Germania, sembra essere caduto il tabù della rigida separazione tra funzioni militari in tempo di guerra ed uso della forza in tempo di pace che la Costituzione del 1949 aveva disposto per evitare gli eccessi del Nazismo. La Corte costituzionale federale ha infatti stabilito che la Bundeswehr possa intervenire sul territorio metropolitano qualora si verifichino minacce che configurino “situazioni eccezionali dalle dimensioni catastrofiche“.
A parere di alcuni tale decisione potrebbe essere basata sull’interpretazione estensiva della norma costituzionale che permette già l’impiego dell’Esercito in caso di gravi incidenti o disastri
Prassi italiana
L’impiego dei militari nel mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica in tempo di pace costituisce una misura eccezionale formalmente prevista dal nostro ordinamento. Il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) contempla tuttora agli artt. 214 e 217 l’ipotesi che, sussistendo uno “stato di pericolo pubblico“, il governo possa affidare la tutela dell’ordine pubblico all’autorità militare, previa eventuale dichiarazione dello stato di guerra. La situazione cui si fa riferimento in tale caso presuppone in realtà una sospensione delle garanzie costituzionali, sicchè in prima approssimazione se ne può escludere la configurabilità nell’attuale sistema giuridico democratico.
Tuttavia, la possibilità che l’Esecutivo, per fronteggiare l’emergenza interna, faccia ricorso a decretazione d’urgenza derogando alla Costituzione, costituisce materia di dibattito dottrinario. Un ostacolo giuridico all’affidamento all’autorità militare di funzioni eccezionali in materia di ordine pubblico viene ora dal fatto che la legge 18 marzo 2003, n. 42 ha abrogato l’art. 5 del Codice penale militare di guerra: questa norma stabiliva infatti potersi applicare la legge di guerra in tempo di pace, anche in assenza di una vera e proprio conflitto internazionale.
La casistica dell’impiego, in tempo di pace, dei militari in operazioni sul territorio, dall’Unità d’Italia sino al 1992 (anno di inizio dell’Operazione “Vespri Siciliani” di cui si dirà più avanti), è molto varia. Al riguardo, la Corte dei Conti Deliberazione 4/2013/G, p. 47) ha elaborato un’esauriente panoramica nei seguenti termini:
“Il primo impiego delle Forze armate e, per esse, dell’Esercito Italiano per scopi di pubblica sicurezza risale alle campagne militari contro il brigantaggio condotte nelle province meridionali della penisola tra il 1860 ed il 1880 ed è proseguito nel contrasto al banditismo in Sicilia negli anni 1920 – 1930.
Dal 1945, la Forza armata Esercito è intervenuta in concorso alle Forze dell’ordine in occasione di:
– attività antibanditismo in Sicilia nell’immediato dopoguerra;
– operazioni condotte in Alto Adige per prevenire atti terroristici da
parte dei movimenti separatisti sud – tirolesi (1961 – 1968);
– sorveglianza delle tratte ferroviarie S. Eufemia Lametia – Villa S. Giovanni (1970 – 1971) e Chiusi – Bologna (1975 – 1976, 1978 – 1979);
– vigilanza degli aeroporti di Milano Malpensa e Roma Fiumicino (1975 – 1976);
– attività di controllo del territorio in occasione del rapimento del Presidente della DC, on. Aldo Moro (1978);
– protezione di obiettivi civili di primaria importanza sul territorio nazionale contro minacce terroristiche, durante la guerra del Golfo (1991); – contenimento e controllo di oltre 20.000 profughi albanesi sbarcati a più riprese nel porto di Bari nel 1991 e, successivamente, ospitati presso infrastrutture militari per oltre un anno“.
L’impiego dei militari in operazioni di sorveglianza, in supporto al Ministero dell’Interno, inizia nuovamente in tempi recenti sulla base delle “Norme di principio sulla disciplina militare” (Legge 11 luglio 1978, n. 382) che all’art. 1 indica tra i compiti delle Forze armate, oltre alla difesa della Patria, il concorrere alla “salvaguardia delle libere istituzioni ed al bene della collettività nazionale nei casi di pubbliche calamità”. La stessa disposizione è stata ora recepita nell’art. 89, n. 3 del Codice dell’Ordinamento Militare (D.lgs. 66/2010).
Troviamo in questa norma, nella parte in cui fa riferimento alla “salvaguardia delle libere istituzioni” un richiamo implicito ai casi di “stato di pericolo pubblico” ancora previste dall’art. 214 del TULPS. Ma sembra potersi dire che, a prescindere da un’ipotetico verificarsi di situazioni emergenziali di disordini interni (si pensi alla casistica del c.d. “Movimento dei Forconi” verificatesi in Sicilia nel 2013), sia proprio il principio del concorso al bene della collettività ad aver ispirato in via generale le scelte governative sul controllo del territorio da parte delle Forze armate. Non a caso, d’altronde, questo appare essere l’approccio seguito, come detto, da altri Paesi come la Germania e la Gran Bretagna.
La nuova normativa viene applicata con l’operazione “Vespri siciliani” del 1992, in cui si attribuisce al personale militare la qualifica di agenti di pubblica sicurezza per identificare e perquisire persone e mezzi di trasporto, al fine di prevenire e contrastare i fenomeni criminali culminati nell’assassinio dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
A questa operazione è seguita, dal 2002 al 2006, la “Domino” svoltasi su tutto il territorio nazionale, per fronteggiare la minaccia terroristica internazionale all’indomani dell’attacco subito dagli Stati Uniti l’11 settembre 2001. Circa 3.000 militari sono stati impiegati nella vigilanza ad obiettivi fissi quali strutture portuali, aeroportuali e ferroviarie, impianti nucleari, basi, installazioni e caserme NATO e/o USA, centri di trasmissione e telecomunicazione, impianti di erogazione di servizi di pubblica utilità.
La disciplina normativa della materia ha assunto una veste organica con le leggi 128-2001 (art. 16) e 125-2008 (art. 7bis)è stata emanata, prima con l’art. 16 della legge 26 marzo 2001, n. 126 riguardante la sicurezza dei cittadini, e poi con la legge 24 luglio 2008, n. 125 relativa al “Concorso delle Forze armate nel controllo del territorio”.
Di fatto, quella che doveva essere una misura temporanea, da autorizzare caso per caso per periodi di sei mesi, si è così consolidata. In applicazione della legge 125/2008 si è infatti proceduto più volte al rinnovo dell’autorizzazione all’impiego di un contingente dedicato anche al contrasto della microcriminalità (Operazione “Strade Sicure”), alla sicurezza dell’Expo di Milano ed al successivo evento del “Giubileo della Misericordia”.
Aspetti operativi e penalistici
Non si hanno come ovvio indicazioni sulle regole di comportamento emanate per lo svolgimento delle operazioni di controllo del territorio da parte delle Forze Armate.
La casistica di tali attività e la tipologia di impiego del personale militare (servizio congiunto con le Forze dell’ordine o servizio di postazioni isolate) consentono tuttavia di ipotizzare che l’uso della forza sia prevista nel solo caso di legittima difesa, qualora si verifichi un’aggressione alla persona dei militari o ai mezzi di cui sono dotati, nonchè alla postazione (sede diplomatica, ufficio governativo, installazione ecc.) di cui sono a guardia.
Un episodio in cui un ubriaco è riuscito ad arrampicarsi sulle grate delle finestre di Palazzo Farnese sede dell’Ambasciata di Francia a Roma, rivela che l’adozione di misure di legittima difesa preventiva di fronte a manifestazioni di intento ostile è stata forse prudentemente non contemplata: nel caso di specie pare infatti che i militari di guardia non siano intervenuti subito limitandosi a richiedere l’intervento delle forze dell’ordine.
I militari posti a guardia di obiettivi sensibili sono tuttavia dotati di armi lunghe oltre che giubbotto antiproiettile, segno questo che il ricorso all’uso della forza non è assolutamente escluso in reazione ad inequivocabili atti ostili.
Diverso appare il quadro di situazione relativo alle pattuglie mobili o fisse che operano congiuntamente alle forze dell’ordine per la tutela dell’ordine pubblico nell’operazione “Strade Sicure”. In queste ipotesi, fermo restando la difesa legittima della persona e dei mezzi in dotazione, è realistico pensare che direttive ed istruzioni contemplino una blanda reazione da parte dei militari ad episodi di micro-criminalità, lasciando alle forze dell’ordine l’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria.
Del resto il personale militare in attività di ordine pubblico non beneficia di alcuna causa di giustificazione speciale, diversa da quelle ordinarie previste dalla legislazione penale ordinaria e militare e cioè, oltre alla difesa legittima ed allo stato di necessità, l’uso legittimo delle armi e l’adempimento di un dovere.
Al riguardo va ricordato che il personale impiegato all’estero in missioni di mantenimento della pace è invece scriminato, ai sensi della legge 197-2009, qualora “in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio ovvero agli ordini legittimamente impartiti, fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica, per le necessità delle operazioni militari”.
Specifico rilievo dovrebbe avere, nel quadro della citata legge 125-2008, lo svolgimento delle funzioni di agente di pubblica sicurezza ed in particolare di quelle relative “alla identificazione e alla immediata perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto … anche al fine di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati“.
Non si hanno indicazioni ufficiali sul numero dei casi in cui tali funzioni sono state espletate. E’ chiaro tuttavia che esse sono fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi di mantenimento dell’ordine pubblico che il legislatore si è prefisso. Indicazioni in questo senso si traggono dal caso in cui un militare in servizio al Cara di Mineo, ha individuato, dopo una perquisizione, un cittadino ivoriano sospettato di essere coinvolto in fatti di sangue.
Conclusioni
“Ripensare parte dell’operazione [“Strade Sicure”]. Nel mentre, infatti, la vigilanza a siti ed obiettivi sensibili e la vigilanza ai Centri per Immigrati hanno raggiunto, comunque, l’obiettivo di recuperare risorse, l’impiego di militari delle Forze armate in servizi di pattuglia e perlustrazione appare meno significativo nel panorama generale ed il personale che in atto è impiegato in tali servizi può trovare, forse, una più efficace utilizzazione nelle altre fattispecie di servizio previste“.
Queste sono le conclusioni raggiunte dalla Corte dei conti (citata Deliberazione 4/2013/G, p. 47) che, nel confermare l’efficacia, sul piano delle risorse impiegate a fronte dei risultati raggiunti, dell’attività di vigilanza a siti sensibili e centri di custodia immigrati, ha invece “considerata relativa l’efficacia dell’attribuzione alle Forze armate di compiti di perlustrazione e pattuglia”.
Non sta a noi contestare una tale valutazione che muove da considerazione di convenienza economica da vari punti di vista, anche in relazione allo svolgimento di analoghe funzioni da parte delle Forze di polizia. E’ comunque indubbio che lo svolgimento di compiti di prevenzione del crimine presenta peculiarità tali da richiedere specifiche competenze ed addestramento, oltre che la semplice visibilità dell’uniforme. Se in futuro continuerà lo svolgimento da parte delle Forze armate di compiti di pattugliamento tipo “Strade Sicure” bisognerà quindi dare maggiore incisività all’azione dei militari volta a coadiuvare le forze dell’ordine nella prevenzione del crimine mediante mirate identificazioni e perquisizioni. Del resto, i positivi risultati raggiunti nella sorveglianza ai siti sensibili dimostrano che è proprio questa la via da seguire.
In definitiva, l’impianto normativo che regola l’attività dei militari in supporto alle forze dell’ordine appare adeguato ma va applicato in modo da realizzare quel risultato che la Corte dei conti auspica in termini di costo-efficiacia.
Infine, considerato che in Italia l’impiego dei militari in ordine pubblico non è più un tabù, c’è da chiedersi perchè, per tutti i militari in divisa, anche fuori servizio, non venga stabilito un dovere comportamentale (prima che giuridico): e cioè l’esortazione ad attivarsi, per quanto possibile, nel richiedere l’intervento delle forze dell’ordine in caso di reato flagrante e nel coadiuvarli nel fermo dei responsabili.
Non si tratta certo di reintroidurre la contestata disposizione dell’ art. 23, 3 del Regolamento di disciplina militare del 1964 la quale prevedeva che il militare “in caso di reato flagrante deve cercare con tutte le sue forze di impedirlo e di fermare il colpevole“. Quanto piuttosto di immaginare la diffusione di forme di impegno civile nel coadiuvare, ab externo, le forze dell’ordine, senza che il suo inadempimento comporti responsabilità penali omissive o mancanze disciplinari.
Foto Difesa.it, Ministero della Difesa Francese, Esercito Italiano, Getty Images e AFP
Fabio CaffioVedi tutti gli articoli
E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.