Due ore dopo mezzanotte
Lo scrittore, filosofo e artista statunitense Elbert Green Hubbard (1865-1915) scrisse, nel febbraio del 1899, come riempitivo della sua rivista The Philistine, il racconto Un Messaggio per García che divenne un successo editoriale, venduto in milioni di copie e tradotto in 37 lingue (tra cui l’italiano), ancora oggi utilizzato nei corsi di formazione aziendali.
La storia, ambientata all’inizio della guerra ispano-americana (1898), narra la missione del tenente dell’Esercito statunitense Andrew S. Rowan incaricato dal Presidente William McKinley di consegnare un messaggio al capo degli insorti cubani, García, che si trovava all’interno dell’isola. Serviva qualcuno che, da solo e in incognito, sbarcasse in territorio ostile e rintracciasse in fretta García per assicurarsi al più presto la sua collaborazione. Una missione temeraria e pericolosa.
Il Presidente convocò l’ufficiale, gli porse la lettera dicendogli: “Consegnate questo scritto al generale García e portatemi una sua risposta”. Rowan rispose: “Sì, Signor Presidente, sarà fatto!“.
La missione fu compiuta senza che venisse data alcuna spiegazione ulteriore né che ci fosse stata alcuna richiesta da parte del tenente relativa a rischi, finanziamenti, tempi e modi. Non fece domande, non si lamentò, non indietreggiò: prese la lettera e partì per Cuba tornando alcuni giorni dopo con la risposta del generale.
Un Messaggio per García rappresenta l’apologo dell’uomo che assolve il compito con spirito d’iniziativa, dedizione e senso del dovere, che non mette in discussione gli ordini ricevuti: non chiede, non protesta, non sbuffa, non tergiversa, non contesta, non accampa scuse. Prende il messaggio, si mette in azione, lo consegna.
Saranno capaci i nostri giovani di emulare il comportamento del Tenente Rowan, formati professionalmente nella – indotta – dimensione dual use (definizione attribuita a funzioni e tecnologie utilizzabili anche in ambito civile) che sembra voler sviare l’attenzione sul principale compito delle Forze Armate: la difesa della Patria contro ogni possibile aggressione e tutela degli interessi nazionali, anche oltre confine!?
Giova ricordare che le Forze Armate si sono sempre distinte dall’unità d’Italia (1861) per slancio e impegno negli interventi a favore della popolazione sin dall’epidemia di colera del 1867, dove l’Esercito era l’unica istituzione rimasta in grado di affrontare la crisi (basta leggere La Vita Militare (1868) di Edmondo De Amicis per rendersene conto), ai terremoti di Messina (1908) e della Marsica (1915), per arrivare ai più noti e numerosi interventi dopo la 2a Guerra Mondiale.
Un compito svolto con dedizione e in silenzio, senza aver bisogno di ricorrere alla tanto esaltata “ottica duale”, “foglia di fico” forse necessaria per annacquare il primo ruolo istituzionale degli uomini e delle donne in uniforme: essere pronti all’uso legittimo delle armi quando la situazione lo richiede!
Questa riflessione sorge spontanea a seguito delle notizie che si susseguono in questi giorni, concernenti lo status dei nostri militari, il loro benessere psico-fisico ed economico, la loro tutela giuridico-economica!
Certo, si potrebbe obiettare che il mondo non ha più bisogno di uomini e donne pronti a usare le armi sino all’estremo sacrifico, sebbene sia previsto, ricorrendo a una formula che va di moda oggi, dal loro “contratto”.
Nel mondo moderno e democratico regnerà la pace e nessun “cattivo” minaccerà più i nostri confini (anche perché pare che non sia più necessario difenderli); semmai, dovremmo preoccuparci della guerra che corre lungo il filo e la fibra, la Cyber Warfare, che necessita di militi che per combattere usano occhialetti e lap top, non certo di Rambo armati fino ai denti e pronti ad obbedire anche a costo di rimetterci la vita ….
Spesso ci si dimentica (anche volutamente) che abbiamo a che fare con un nemico determinato, privo di scrupoli e crudele che avrà il vantaggio di scegliere il momento, il modo e il luogo dove colpire.
E affinché una missione si possa definire non combat occorrerebbe quantomeno che a dichiararlo si sia in due: i “buoni” (ovvero noi) e i “cattivi” (ovvero l’avversario). Non basta la pubblica enunciazione non combat delle missioni e la distribuzione di aiuti umanitari per evitare di essere coinvolti in combattimento o subire attacchi come avvenuto recentemente in Afghanistan (gennaio 2019) e in Somalia (ottobre 2018) a nostre pattuglie di addestratori.
L’avversario (o gli avversari) di domani, inoltre, dispone di una elevata capacità cyber in grado di neutralizzare le nostre tecnologiche capacità di C2, costringendoci a ritornare ai sistemi tradizionali (se ne saremo capaci), utilizzare la bussola, il binocolo e la tavoletta di tiro d’artiglieria …
L’influenza dello spettro elettromagnetico si estende a tutti i sistemi e alle attività operative, entrando anche nel tessuto della società civile. Operazioni difensive e offensive nell’ambito dello spazio cibernetico sono potenzialmente in grado di rendere inagibile o danneggiare gravemente le comunicazioni o le reti elettriche. Eventuali avversari con il predominio della guerra elettronica sarebbero in grado di controllare il ritmo delle battaglie e limitare le opzioni presentate ai comandanti.
E allora, in siffatto scenario appare lecito porsi alcuni interrogativi.
Chi porterà in operazioni i nostri ragazzi? Un comandante qualificato RSPP (Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione) con abilitazione di psicologo cresciuto alla cultura dell’alibi, che induce sempre a scaricare ad altri responsabilità e compiti?
Un ufficiale che dovrà aprire un “Tavolo di Concertazione” per far approvare una missione e confrontarsi con il temuto Indice Massa Corporea (quanti in questi anni hanno avuto problemi cardiaci all’estero??… basterebbe, poi, viaggiare sui treni regionali, bus e metro per sentire i commenti delle persone comuni sui militari in divisa in sovrappeso), oppure programmare infiniti incontri con le sigle sindacali per verificare (ispirati ad una sana concertazione!!) se i mezzi e gli equipaggiamenti sono in linea con la normativa, oppure se l’attività è prevista dal contratto?
Che dire, poi, dell’addestramento? Non è che sia così necessario! È faticoso e poi, a parte i costi elevati delle munizioni e degli straordinari, che sarebbero potenzialmente sottratti per il reddito di cittadinanza, dove andare ad addestrarsi? Abbiamo sempre meno aree addestrative da quando si è deciso di eliminare progressivamente le servitù militari sulle aree per decenni dedicate a tale scopo!
Certo, i ben pensanti potranno sottolineare che tutto questo non è una novità ma è una moderna concezione dello status del “lavoratore-soldato” e che esistono già situazioni analoghe nel mondo occidentale. Senza voler risalire alla guerra civile spagnola (1936 – 1939), dove i reparti composti da miliziani anarchici mettevano al voto se attaccare o meno, creando ovvi problemi di tempismo e di capacità operativa nel dispositivo del governo repubblicano, l’esempio più emblematico è rappresentato dall’Olanda, dove esistono da tempo veri e propri sindacati anche se i militari non hanno formalmente il diritto di sciopero (risulterebbe che ultimamente scioperi in uniforme siano stati organizzati e non impediti).
È appena il caso di rammentare che quelli affidati al militare sono compiti che prevedono forti capacità di autocontrollo, essendo stabilito nel suo contratto che può essere impiegato in situazioni critiche che richiedono caratteristiche psico-fisico che gli consentano di reagire alle situazioni di crisi. Se così non fosse, gli Stati (tutti) o meglio, gli insediamenti umani complessi dalle origini sino ai giorni d’oggi, non si sarebbero dotati di una forza “armata” (militare, d’attacco, di difesa, la si chiami come si vuole) con quegli specifici compiti!
Napoleone, nei suoi memoriali di S. Elena, ricordava che aveva maggiore fiducia nei generali che, svegliati due ore dopo mezzanotte, erano capaci di assolvere un compito imprevisto senza porre domande o problemi: Mouton, Sérrurier, Macdonald; nomi poco conosciuti rispetto ai più celebri Ney, Murat o Lannes, che dimostravano indiscusso coraggio (fisico) nell’eccitazione del combattimento.
Per Napoleone le ore che precedono l’alba erano il momento in cui bisognava avere un gran coraggio (morale), quando il giorno passato è dimenticato e quello successivo tarda ad arrivare tanto che si tende a dubitare di lui. Nel cuore della notte, quando fa freddo fuori, si ha freddo anche dentro di sé e si è soli.
Saremo in grado di avere ancora dei tenenti Rowan (o generali come Mouton, Sérrurier, Macdonald) che, svegliati alle due di notte, saranno capaci di portare a termine il compito assegnato senza sollevare problemi, dubbi o competenze, senza nutrirsi dell’italica cultura dell’alibi?
Perché, come soleva affermare uno stagionato sergeant major inglese, gli ultimi 10 metri sull’obiettivo li deve sempre compiere il fante con il suo fucile! Se si sarà in grado d’inventare un fucile dall’uso duale ovviamente!
Foto: Militari italiani in Afghanistan (Isaf, Op. Resolute Support TAAC -W, COMFOSE e Difesa.it)
Giorgio BattistiVedi tutti gli articoli
Generale di Corpo d'Armata (Aus.), Ufficiale di Artiglieria da Montagna, ha espletato incarichi di comando nelle Brigate Alpine Taurinense, Tridentina e Julia ed ha ricoperto diversi incarichi allo Stato Maggiore dell'Esercito. Ha comandato il Corpo d'Armata Italiano di Reazione Rapida della NATO (NRDC-ITA), l'Ispettorato delle Infrastrutture e il Comando per la Formazione, Specializzazione e Dottrina dell'Esercito. Ha partecipato alle operazioni in Somalia (1993), in Bosnia (1997) e in Afghanistan per quattro turni. Ha terminato il servizio attivo nell'ottobre 2016.