L’armata di bambini e adolescenti del jihad
Il tredicenne che il 12 luglio s’è fatto saltare in aria in un attentato suicida, durante un matrimonio, nella provincia di Nangarhar nell’Afghanistan orientale, uccidendo cinque persone e ferendone 40, ha riproposto il problema della radicalizzazione islamica di bambini e adolescenti.
Uno spettacolo horror di dimensione globale, oggi facilitato dall’islam grazie alla tecnologia – strumento sfruttato al massimo dai terroristi islamici in conformità con il mandato dei Fratelli Musulmani di “indebolire l’Occidente anche con le loro armi”. Ma non è solo la propaganda su YouTube a rubare le coscienze dei bambini.
Le Nazioni Unite già nel 2006 denunciavano l’esistenza di 250.000 bambini che in tutto il mondo erano stati arruolati per combattere in circa 20 conflitti differenti. Allora il sedicente Stato Islamico era solo un’idea, eppure in poco tempo è stata poi costruita l’organizzazione di quella radicalizzazione che nei primi mesi del 2015 aveva già oltre 1.500 bambini a combattere in prima linea e ne aveva addestrati oltre mille come kamikaze.
Il Combating Terrorism Center, nel più recente rapporto in materia, condusse tra il 2015 e il 2016 una meticolosa indagine per svelare come le organizzazioni estremiste violente, e in particolare quelle legate all’islam, da tempo reclutavano bambini a un ritmo sempre più sostenuto.
I talebani pakistani gestiscono ad oggi numerose cosiddette scuole dedicate alla formazione di terroristi preadolescenti; gli houthi – gruppo armato sciita nello Yemen – hanno sistematicamente introdotto l’inclusione dei bambini nelle loro fila mentre la milizia Hezbollah in Libano ha iniziato a inquadrare adolescenti per rafforzare la presenza in Siria.
Il fenomeno non è nuovo e ha diversi antecedenti storici. C’è sicuramente la matrice nazionalsocialista, conclusione a cui è arrivato anche Quilliam – think tank londinese – nel rapporto The Children of Islamic State. Secondo gli autori l’isis si è ispirato anche alla Gioventù Hitleriana per indottrinare i bambini e prima ancora era stato il comunismo a inquadrare i bambini anche prelevandoli dalle famiglie.
Non è un caso che le Nazioni Unite recentemente abbiano ricevuto notizie credibili, ma non verificate, su un’ala giovanile dell’Isis, Fityan al-Islam – “ragazzi dell’islam”.
Che esista o meno il gruppo, è certo che bambini e ragazzini vengono costretti a memorizzare i versetti del Corano e a partecipare all’addestramento jihadista, che prevede sparatorie, armi e arti marziali.
Lo Stato Islamico ha investito – e pubblicizzato – così tanto sulla radicalizzazione dei bambini che ogni preoccupazione organizzativa sovrasta i meri benefici della propaganda a breve termine. È chiaro che la leadership dello Stato Islamico ha una visione a lungo termine della gioventù e dei suoi sforzi jihadisti: i bambini militanti di oggi saranno i terroristi di domani, con ogni probabilità. E le questioni morali islamiche, radicalizzate anche dall’impegno sul campo di battaglia con i giovani musulmani, saranno probabilmente all’ordine del giorno nei proclami jihadisti negli anni a venire.
C’è stato un momento in cui la presenza e la partecipazione dei bambini nella propaganda dello Stato Islamico è stata ostentata quasi quotidianamente: bambini presenti in molteplici contesti, dalle esecuzioni altamente pubblicizzate ai campi di addestramento, alle spedizioni daw’a.
Il Combating Terrorism Center ha analizzato proprio la propaganda fotografica diffusa sul martirio con bambini e giovani per tirare fuori dati importantissimi.
Dal 1° gennaio 2015 al 31 gennaio 2016, 89 bambini e giovani sono stati elogiati nella propaganda dello Stato Islamico. Il 51% è stato dichiarato morto in Iraq, mentre il 36% è morto in Siria. Il resto è stato ucciso durante le operazioni in Yemen, Libia e Nigeria. Il 60% percento del campione è stato classificato come “adolescente”, il restante 40% sono preadolescenti o un po’ più grandi. Degli 89 casi, il 39% è deceduto dopo aver fatto esplodere un dispositivo esplosivo improvvisato a bordo di un veicolo contro l’obiettivo.
Il 33% è stato ucciso in operazioni sul campo di battaglia non specificate, il 6% è morto mentre lavorava come propagandista all’interno di unità e il 4% si è suicidato in attentati contro civili. Per il resto del 18% si è trattato di morte in operazioni di saccheggio in cui un gruppo di combattenti, per lo più adulti, s’infiltra e attacca una posizione nemica usando armi automatiche leggere prima di uccidersi facendo esplodere cinture suicide. Il 40% delle volte, i bambini e i giovani sono morti in operazioni contro le forze di sicurezza, militari e polizia.
E solo il 3% ha compiuto attacchi suicidi contro civili. C’è ancora un elemento particolarmente esemplificativo e, secondo sempre il Combating Terrorism Center, è deducibile dalle fotografie diffuse.
Nel 6 per cento delle fotografie, i bambini e i giovani sono mascherati. Dei rimanenti casi, il 46 per cento è rappresentato con sorrisi sui volti. Un ulteriore 28% dei bambini e dei giovani si trovava in frutteti e prati, uno scenario presumibilmente scelto per riecheggiare il paradiso a cui sono convinti di essere destinati. Si tratta del tema della felicità nella prospettiva del martirio islamico: quando ci si uccide per uccidere.
Così come è altrettanto sorprendente che i bambini e i giovani dello Stato Islamico operino in modo simile agli adulti. I bambini stanno combattendo, e hanno combattuto, a fianco, piuttosto che al posto, di maschi adulti. In altre circostanze storiche i bambini soldato sono stati una strategia di ultima istanza, come un modo per “sostituire rapidamente le perdite sul campo di battaglia” o in operazioni specializzate per le quali gli adulti potrebbero essere meno efficaci. Nel contesto dello Stato islamico i bambini sono usati più o meno allo stesso modo degli adulti, il che significa che l’uso di bambini e ragazzi è stato normalizzato sotto il dominio dell’Isis. Invece di salutarli come giovani eroi, i media islamici li celebrano semplicemente come eroi.
Secondo i dati Onu, attualmente, sono ben 58 i gruppi armati di matrice islamica, in 15 paesi del mondo, che radicalizzano, reclutano e si servono di bambini.
Da più di un anno lo stato di allerta interessa anche la Germania. Dove, secondo Hans-Georg Maaßen, quando era ancora a capo dell’Ufficio per la protezione della Costituzione (i servizi segreti tedeschi), diverse centinaia di bambini sono a rischio di radicalizzazione islamica e rappresentano un rischio “non trascurabile” per la sicurezza nazionale.
Sono bambini e adolescenti che crescono in famiglie da cui ricevono un’educazione radicalmente islamica. Devoti ad una “una visione del mondo estremista che legittima la violenza verso gli altri e sminuisce coloro che non appartengono al loro gruppo“, riferiva un rapporto dell’anno scorso dell’Ufficio federale tedesco per la protezione della Costituzione.
L’esposizione dei minori all’islam radicale è “allarmante” e rappresenta una “sfida” per gli anni a venire, ha detto oltre un anno fa Maaßen. E l’attenzione dei servizi di sicurezza tedeschi è contemporaneamente rivolta anche ai bambini che stanno tornando con le loro famiglie, o da soli, dai territori occupati dall’Isis.
In Inghilterra lo stesso fenomeno e le medesime preoccupazioni hanno spinto il governo già nel 2015 ad attuare una strategia anti-radicalizzazione, “Prevent“. Il che significa che tutti gli enti pubblici sono stati istruiti a riconoscere la radicalizzazione nei più giovani e, se necessario, costretti a segnalarlo all’autorità locali. “Prevent” è una strategia basata sul rischio; identificare i giovani che sembrano essere a rischio di radicalizzazione e mettere in atto interventi per impedire che si trasformi in violenza.
Secondo il think tank Quilliam circa 50 bambini del Regno Unito sono cresciuti in un territorio controllato dallo Stato Islamico e si ritiene siano andati in Siria per combattere. “L’obiettivo è quello di preparare una nuova, più forte, seconda generazione di mujaheddin, istruita ad essere una risorsa futura per il gruppo”, aggiunge il rapporto.
Ritengono, inoltre, che lo Stato Islamico abbia preparato il suo esercito indottrinando i bambini nelle sue scuole e normalizzandoli alla violenza anche attraverso la testimonianza di esecuzioni pubbliche.
Un caso eclatante in merito è il macabro video del 2016 che mostrava un bambino inglese di quattro anni ripreso mentre faceva esplodere un’autobomba, uccidendo quattro presunte spie intrappolate nel veicolo.
La missione di assistenza delle Nazioni Unite per l’Iraq stima che l’Isis abbia rapito tra gli 800 e i 900 bambini di età compresa tra i nove e i 15 anni. Da agosto 2014 a giugno 2015, centinaia di ragazzi, tra cui Yazidi e Turkmeni, sono stati forzatamente prelevati dalle loro famiglie a Ninive e inviati ai centri di addestramento, dove ai ragazzi di otto anni, come già riportato, veniva insegnato il Corano, l’uso delle armi e le tattiche di combattimento.
La radicalizzazione dei bambini è un fenomeno che riguarda anche il Nord America. La CNN ha riferito l’anno scorso che circa 1.000 indagini a riguardo sono state aperte in tutti i 50 Stati. Nell’agosto 2018, undici bambini sono stati trovati in un campo del New Mexico dove venivano addestrati all’uso delle armi da un radicale islamista americano. A Minneapolis, 45 ragazzi hanno lasciato la comunità somala locale per unirsi ad al-Shabab o all’Isis.
A giugno un 22enne del Bangladesh, che vive a New York, è stato arrestato perché stava pianificando un attentato a Times Square. Dati parziali che evidenziano l’enorme pericolo rappresentato dalla radicalizzazione dei giovani anche in Occidente.
Foto: Stato Islamico
Lorenza FormicolaVedi tutti gli articoli
Giornalista nata a Napoli nel 1992, si occupa di politica estera, in particolare britannica, americana e francese ma è soprattutto analista del mondo arabo-islamico. Scrive per Formiche, La Nuova Bussola Quotidiana, il Giornale e One Peter Five.