Gli statunitensi uccidono al-Baghdadi e prendono i pozzi petroliferi di Assad
(aggiornato alle ore 24.00)
Il capo dello Stato Islamico, califfo Abu Bakr al-Baghdadi sarebbe morto nel corso dell’Operazione Kayla Mueller (dal nome della giovane amdericana catturata dall’Isis nel 2013 e uccisa due anni dopo), il blitz americano nel villaggio di Barisha, nel nord della Siria, contro il covo del leader jihadista. Secondo quanto riferito da fonti del Pentagono ai media Usa al-Baghdadi si sarebbe fatto esplodere per evitare la cattura attivando un giubbotto esplosivo che avrebbe provocato la morte anche di due sue mogli e tre bambini.
Il raid è stato effettuato dal Comando operazioni speciali USA e la CIA ha aiutato a localizzare il leader dell’ISIS, secondo quanto riferito dalla fonte del Pentagono a Newsweek, primo media a dare la notizia.
In seguito è emerso che il nascondiglio era stato individuato grazie alle informazioni fornite da una delle mogli di al-Baghdadi e da un corriere del Califfo che, interrogati, avrebbero permesso alla Cia di lavorare con l’intelligence iracheno e curda per individuare l’esatta posizione del bersaglio.
L’ennesimo annuncio dell’uccisione del fondatore e leader del Califfato, più volte dato per morto o ferito da russi, iracheni e statunitensi, sarebbe stata confermata dai test biometrici su quanto restava del cadavere dopo l’esplosione.
Il Presidente Donald Trump, che aveva twittato “qualcosa di grande è accaduto”, ha dichiarato che al-Baghdadi è “morto come un cane, come un codardo” .
“Conosciamo già il successore del leader dell’Isis ed è già nei nostri sistemi” ha detto Trump riferendosi a Abdullah Qardash, iracheno ed ex militare dell’esercito di Saddam Hussein scelto lo scorso agosto proprio da al-Baghdadi come suo erede.
“Nel raid sono morte molte persone”, ha detto Trump, ma nessun militare americano è stato colpito (un cane delle forze speciali è rimasto ferito) benchè le truppe di Washington siano state accolte da una pioggia di proiettili”.
L’agenzia Reuters aveva segnalato in mattinata che due fonti di sicurezza irachene e due iraniane avevano riferito di aver ricevuto conferma dall’interno della Siria che al-Baghdadi era stato ucciso nel raid Usa al cui termine “sono stati portati via a bordo degli elicotteri i corpi degli uccisi e due persone prese vive” hanno raccontato testimoni oculari citati dai media arabi.
“Prima dell’operazione degli Stati Uniti nella provincia di Idlib c’è stato uno scambio di informazioni e coordinamento tra le autorità militari di entrambi i paesi” riporta un messaggio del ministero della Difesa turco in cuoi Ankara non si è pronunciata sugli obiettivi di questa operazione ne’ ha menzionato al-Baghdadi.
Le forze armate turche mantengono una dozzina di postazioni militari e una costante presenza dell’intelligence militare nella provincia di Idlib, oggetto di un’offensiva di Damasco appoggiata dalle forze russe ed ultima area siriana ancora sotto il controllo delle milizie ribelli siriane.
Possibile che Ankara non sapesse che al-Baghdadi viveva a 10 chilometri dai suoi confini in una provincia siriana dominata dai suoi militari e dalle milizie filo-turche?
Ankara ha del resto sostenuto per lungo tempo l’Isis in funzione anti-curda, anche acquistando clandestinamente il petrolio estratto dal Califfato dai pozzi occupati in Iraq e Siria. Difficile ritenere che al-Baghdadi potesse aver trovato asilo senza l’appoggio dell’intelligence turca in un’area così vicina alla Turchia ma presidiata da milizie qaediste legate a doppio filo ad Ankara ma nemiche giurate dell’Isis.
Fonti irachene hanno sottolineato il contributo dell’intelligence di Baghdad nel supporto informativo alla CIA che avrebbe preparato l’operazione delle forze speciali, decollate con 8 elicotteri da Erbil, nel Kurdistan iracheno, a oltre 500 chilometri dal villaggio di Barisha dove si nascodeva al-Baghdadi.
Nel raid americano sarebbero morti 9 jihadisti incluso il capo della sicurezza di al-Baghdadi, Ghazwan Al Rawi secondo quanto riferito da una fonte di sicurezza irachena citata da Sky News Arab.
L’Osservatorio siriano dei diritti umani (Ondus), Ong con sede a Londra ma vicina ai ribelli anti-Assad, ha fornito una ricostruzione del raid Una squadra di otto elicotteri, tra i quali ci sarebbero anche i quattro intervenuti nel raid contro il covo di al-Baghdadi, hanno attaccato per 120 minuti posizioni dell’Isis e del gruppo legato ad al-Qaeda Hurras al Din (Guardiani della religione) presso il villaggio di Barisha, molto vicino al confine con la Turchia.
Secondo l’Ondus, i jihadisti hanno risposto all’attacco, che ha causato la morte di 9 persone e un gran numero di feriti. I raid statunitensi in questa regione della Siria, dove i jet di Damasco e Mosca hanno il dominio dell’aria, sono piuttosto rari ma già in agosto e in gougno incursioni aeree americane avevano ucciso una cinquantina di miliziani qaedisti dei gruppi Hurras ad Din (Guardiani della Fede) e Ansar at Tawhid (Seguaci dell’unificazione) sempre secondo quanto riferito dall’Ondus.
Poche ore dopo l’incursione a Barisha un secondo attacco statunitense avrebbe ucciso nell’area di Jarablus (zona controllata dai turchi nel nord della Siria) anche il portavoce dell’ Isis, Abu Hassan al-Muhajir, come hanno connfermato fonti delle milizie curde siriane. Il portavoce dell’Isis sarebbe stato preso di mira nel villaggio di Ain al-Baydah vicino a Jarablus, in un’operazione coordinata tra l’intelligence curdo e le forze americane in cui i missili lanciati da jet statunitensi hanno centrato due camion uccidendo almeno tre persone.
Anche l’Ondus ha confermato la morte di al-Muhajir, affermando che era uno dei cinque membri dell’Isis uccisi in un’operazione guidata dagli Stati Uniti mentre Rita Katz, direttrice del sito che monitora la propaganda jihadista, Site, ha reso noto che il portavoce dell’Isis sarebbe stato ucciso in un’operazione nella provincia di Aleppo diversa da quella che è costata la vita ad al-Baghdadi.
Molto crituca la posizione di Mosca che mette addirittura in dubbio l’esistenza del blitz. Il ministro della Difesa russo, attraverso il portavoce, generale Igor Konashenkov (nella foto a lato), ha detto di non avere “informazioni attendibili sull’operazione” e che ognuno dei partecipanti diretti e di Paesi che presumibilmente hanno preso parte a questa operazione fornisce dettagli completamente contrastanti. Mosca solleva “legittimi quesiti e dubbi sulla sua stessa esistenza e successo” dell’operazione, ha dichiarato il portavoce.
Il generale russo ha in primo luogo osservato che “ne’ sabato, ne’ i giorni scorsi sulla zona di de-escalation di Idlib sono stati effettuati attacchi aerei degli Stati Uniti o della cosiddetta Coalizione internazionale da loro guidata. Non siamo a conoscenza di alcuna presunta assistenza al passaggio dell’aviazione americana nello spazio aereo della zona di de-escalation di Idlib, durante questa operazione”.
Affermazione rilevante perchè i russi hanno il controllo dello spazio aereo di Idlib e ogni accesso di velivoli statunitensi viene comunicato tempestivamente per evitare il rischio di incidenti. Inoltre, ha continuato Konashenkov, va dimostrata con “prove dirette” degli Stati Uniti e di altri partecipanti al raid la presenza del leader dell’Isis in un territorio non controllato dal ramo siriano di al-Qaeda, fino a ieri nemico e principale rivale dell’Isis per il controllo della Siria.
Truppe USA nei pozzi siriani dell’Est
In queste stesse ore dal confine iracheno l’esercito statunitense sta inviando di nuovo truppe nell’est della Siria, dove il presidente Donald Trump vuole “proteggere” i campi petroliferi presidiati dalle milizie curde ma che per il diritto internazionale appartengono allo Stato siriano.
Lo riporta il Washington Post, sottolineando che truppe americane sono giunte nella provincia di Deir Ezzor con un convoglio proveniente dal nord dell’Iraq. Le truppe – spiega un funzionario del Dipartimento della Difesa – aiuteranno a “prevenire che i campi petroliferi cadano nelle mani dell’Isis odi altri attori. Non discuteremo i dettagli o la tabella di marcia delle truppe per motivi di sicurezza”.
In realtà gli unici “altri attori” che potrebbero assumere il controllo dei pozzi sono le forze regolari di Damasco.
I piani statunitensi di lasciare circa 500 soldati a proteggere le strutture petrolifere nella Siria orientale potrebbero portare a una complicazione della situazione. Mosca accusa gli Stati Uniti di “banditismo internazionale”.
“Quello che sta facendo Washington adesso, cioè prendere il controllo dei campi petroliferi nell’ est della Siria, è semplicemente banditismo di stato”, ha detto il portavoce del ministero della Difesa russa, Igor Konashenkov. “Gli idrocarburi e altri minerali presenti nel territorio siriano non appartengono ai terroristi dell’Isis né tantomeno agli americani, ma esclusivamente alla repubblica siriana”, ha aggiunto.
I pozzi petroliferi nella Siria Orientale (a destra in colore più chiaro)
Da almeno due anni la presenza militare americana nella Siria Orientale (una forza di occupazione del tutto illegale sotto il profilo giuridico) è rivolto non certo a combattere l’Isis ormai ridotto ai minimi termini quanto la capacità militare ma bensì a impedire ad Assad di riprendere il controllo dei pozzi petroliferi che potrebbero garantire a Damasco le risorse per attuare la ricostruzione post bellica del Paese.
Lungo il confino tra Siria e Turchia intanto la polizia militare russa ha iniziato i pattugliamenti della città’ curda di Qamishli, come stabilito nell’accordo tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin a Sochi lo scorso 22 ottobre.
Lo ha reso noto ieri il generale di brigata Igor Volgin, che ha dichiarato che il primo turno di pattuglia è stato realizzato lungo il confine turco, per un’estensione di 210 chilometri e una durata complessiva di 4 ore. Volgin ha assicurato che il confine con la Turchia “è sotto controllo” e che nei prossimi giorni le ricognizioni saranno estese fino al confine con l’Iraq, per almeno altri 130 chilometri.
Gli uomini della polizia militare russa sono equipaggiati con il sistema -soldato Ratnik che comprende sensori, visori e protezioni che aumentano ed estendono le capacità dei militari anche nel monitoraggio del territorio.
La Russia ha inviato ieri altri 300 agenti della polizia militare in Siria per “compiti speciali “nella fascia di 30 chilometri lungo il confine con la Turchia. Il ministero della Difesa ha precisato che i militari sono arrivati dalla Cecenia. Gli aerei cargo militari hanno portato nella base aerea russa di Hmeymim, nella Siria occidentale, anche due dozzine di veicoli blindati Tigr e Typhoon-U da aeroporti nelle regioni russe di Rostov e Krasnodar.
Fonte: Ministero Difesa Russo, AP, Stato Islamico, Signal e US DoD
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