L'Italia e il futuro della NATO
Gli avvenimenti che nel 2014 hanno scosso lo scenario internazionale hanno modificato l’agenda del vertice che, il 4 e 5 settembre, riunirà nel Galles del Sud i Capi di Stato e di Governo dell’Alleanza Atlantica. Oltre a gestire la fine delle operazioni in Afghanistan e riconsiderare il sistema dei partenariati, il vertice dovrà riaffermare il ruolo ed il livello di ambizione della NATO, indicando una direzione politica e strategica e le capacità necessarie per affrontare efficacemente l’ampio spettro delle attuali minacce alla sicurezza. Minacce e instabilità che oggi investono la nuova dimensione cibernetica e lo spazio ma che riguardano anche i tradizionali fianchi orientale e meridionale dell’Alleanza, toccando direttamente i confini di paesi alleati o partner, quali la Turchia o la stessa Italia, piuttosto che l’Ucraina o la Georgia.
In tale quadro, appare ineludibile dare piena attuazione e rendere ancor più operativo, il Concetto Strategico adottato dalla NATO nel 2010, secondo un approccio che sappia indicare i compiti prioritari coniugando una credibile difesa collettiva, un’efficace gestione delle crisi e una sicurezza cooperativa fondata su partenariati duraturi. L’aggressione alla Crimea ha drammaticamente ricordato agli Alleati l’impegno primario della difesa collettiva ed il ruolo cruciale dell’art. 5 del Trattato Atlantico, che dovrà essere interpretato in chiave moderna, considerando la minaccia cibernetica, il contrasto al terrorismo e le capacità necessarie per una efficace difesa missilistica.
Il 2014, inoltre, è un anno carico di ricorrenze: settanta anni dal D-Day, sessantacinque anni di Alleanza Atlantica, venticinque anni dalla caduta del Muro di Berlino, dieci e cinque anni dagli ultimi allargamenti dell’Alleanza. Tutti eventi che ci ricordano come dal secondo conflitto mondiale a oggi la soluzione alle crisi sia sempre scaturita da una solida cooperazione transatlantica. E’ stato così per la Guerra Fredda, per le crisi dei Balcani, per l’Afghanistan, così come per l’attuale crisi finanziaria.
Il Concetto Strategico della NATO, recependo una proposta avanzata da uno studio del Comitato Atlantico Italiano, nel 2010 ha rafforzato il ruolo del legame transatlantico, annoverandolo per la prima volta fra i “principi e i compiti fondamentali” dell’Alleanza. L’imminente vertice del Galles avrà il compito di approfondire ulteriormente tale vincolo attraverso una Dichiarazione Transatlantica che costituisca un nuovo contratto di sicurezza e di solidarietà che impegni le due sponde dell’Atlantico ad una più equilibrata condivisione di responsabilità.
Ciò è particolarmente necessario nell’attuale scenario internazionale caratterizzato da una globalizzazione dell’insicurezza e da una grave crisi economica e finanziaria. Scenario nel quale sviluppo economico e sicurezza risultano indissolubilmente legati, così come la pace e la stabilità rappresentano condizioni essenziali per favorire la prosperità. Alla NATO “E’ apparso sempre più chiaramente, dopo la firma del Trattato, che nella nostra epoca la sicurezza è assai più di un problema militare. Lo sviluppo della consultazione politica e della cooperazione economica, la valorizzazione delle risorse, il progresso dell’istruzione e della comprensione dei popoli: tutto ciò può essere importante per la sicurezza di una nazione o di un’alleanza quanto la costruzione di una corazzata o l’armamento di un esercito.” Queste parole, che sintetizzano gran parte dell’agenda del vertice del Galles, sono state invero enunciate nel 1956 dall’allora Ministro degli Esteri Gaetano Martino che presiedette il Comitato dei Tre Saggi – del quale facevano parte i colleghi canadese e norvegese, Pearson e Lange – incaricato dalla NATO di redigere un Rapporto sulla Cooperazione non-militare che rafforzasse l’unità della Comunità atlantica.
In tale quadro, Europa e Nord America costituiscono, ancora oggi, il più potente blocco economico che il mondo abbia mai conosciuto e al quale il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP) offre un’ulteriore opportunità di sviluppo che non può andare dispersa.
Tuttavia, il crescente divario tra le due sponde dell’Atlantico nelle spese e investimenti per la Difesa rischia di minare non solo l’interoperabilità nelle operazioni tra i paesi europei della NATO e l’alleato statunitense, quanto il fondamento stesso dell’Alleanza Atlantica, ovvero quel vincolo transatlantico fondato sulla indivisibilità della sicurezza e della difesa collettiva.
Attualmente il bilancio destinato alla Difesa da parte dei paesi dell’Unione Europea equivale pressoché alla metà di quello degli Stati Uniti, che riservano il 4.8% del PIL a fronte di una media europea attestata all’1.29%. Solo l’Estonia, la Grecia e il Regno Unito, fra gli Alleati europei, raggiungono l’obiettivo politico concordato con la NATO di assegnare alla Difesa il 2% del PIL. Il vertice del Galles renderà tale impegno più stringente e, in tale prospettiva, si vanno già adeguando i bilanci della Lettonia, Lituania, Romania, Polonia e Turchia. L’Italia è in affanno, con un bilancio che si attesta allo 0.87% e che riesce a raggiungere lo 0.98% del PIL con l’aggiunta dei fondi allocati dal Ministero per lo Sviluppo Economico per specifici programmi di interesse comune con la Difesa.
La situazione dei bilanci per la difesa europei non appare confortante nemmeno se, invece che ad Ovest, si rivolge lo sguardo ad Est, dove dal 2013 le spese per la difesa e la sicurezza dei paesi dell’area asiatica hanno superato per la prima volta quelle del blocco europeo.
Alle limitate risorse di bilancio la NATO cercherà di sopperire con un ulteriore rafforzamento dei programmi di sviluppo e condivisione di capacità, quali la Smart Defense e la Connected Forces Initiative. Tale iniziativa dovrà, altresì, assicurare un serrato calendario di esercitazioni in grado di mantenere la prontezza operativa delle forze, quali la NATO Response Force o le forze speciali che non saranno più impiegate in teatri operativi come l’Afghanistan. A tal fine, in Galles, la NATO adotterà anche un Readiness Action Plan, che prevedrà combinazioni di forze per la difesa e di deterrenza, misure per il preventivo posizionamento, lo stoccaggio di equipaggiamenti, la revisione di piani di difesa e il rafforzamento di infrastrutture.
In occasione del vertice, la NATO si accinge a varare anche una Defense Capacity Building Initiative, volta ad assistere i paesi partner e non, nelle riforme nel settore della sicurezza e nello sviluppo di forze armate in grado di gestire autonomamente eventuali future situazioni di crisi.
Nell’agenda della NATO, il sistema dei partenariati è quello che richiede la riflessione più approfondita, al fine di pervenire ad una revisione che rinvigorisca un concetto stanco anche se di indubbio successo nella storia recente dell’Alleanza. Una gerarchizzazione dei partner, secondo parametri dettati dalla condivisione di valori, livello di capacità, interoperabilità e partecipazione alle operazioni di mantenimento della pace, appare preferibile rispetto ai tradizionali criteri di carattere regionale.
Pur riaffermando il principio della “porta aperta”, il vertice del Galles non annuncerà alcun allargamento dell’Alleanza. La cooperazione con il Montenegro sarà oggetto di Colloqui Mirati e Intensificati che permetteranno ai Ministri degli Esteri alleati di dare una risposta definitiva alla richiesta di adesione entro l’anno 2015. L’Ucraina beneficia di un Ampio e Intensificato e Programma di Cooperazione, volto a riformare e modernizzare le forze armate. Allo stesso tempo, con la Georgia è stato concordato un Sostanziale Pacchetto di Cooperazione, mentre l’avvicinamento all’Alleanza della Bosnia ed Erzegovina e della FYR Macedonia prosegue secondo un percorso preordinato.
Nell’ambito dei partenariati andranno, in particolare, riconfigurati quelli con la Federazione Russa e con l’Unione Europea, impropriamente definiti “strategici”. In effetti, tali partenariati non hanno mai espresso tutto il loro potenziale. Con la Federazione Russa rimarrà aperto un dialogo politico, ma sino a quando non sarà superata la crisi ucraina e permarrà l’attuale atteggiamento revisionista, sarà impossibile prevedere una cooperazione che vada oltre aspetti contingenti di comune interesse.
Le relazioni tra la NATO e l’Unione Europea, piuttosto che una piena cooperazione, riflettono tuttora una concezione di divisione dei compiti che può farsi risalire agli anni Novanta e agli accordi cosiddetti Berlin Plus. Dovrà essere compito dei ventidue paesi attualmente membri di entrambe le organizzazioni quello di impegnarsi per elevare il partenariato NATO-Unione Europea ad un livello realmente “strategico”.
A tal fine, l’esercizio More Europe, promosso dall’Italia in occasione della sessione del Consiglio Europeo sulla Difesa del dicembre 2013 si è rivelato inadeguato, essendosi posto un livello di ambizione troppo alto ma non sostenuto dal necessario consenso politico dei maggiori paesi europei. Anche in questo settore, l’Europa dei “piccoli passi” ci insegna che un approccio bottom-up, che sappia far convergere il consenso nei settori dello sviluppo delle capacità, piuttosto che sui programmi di addestramento e formazione, offre promettenti possibilità di avviare concrete iniziative di cooperazione fra la NATO e l’Unione Europea.
Infine, sia l’Unione Europea che la NATO hanno l’esigenza di promuovere una aggiornata cultura della sicurezza che riconnetta i cittadini con i valori ed i compiti delle rispettive organizzazioni. Nei mesi precedenti e successivi al vertice del Galles, la NATO sarà chiamata non solo ad aggiornare le linee guida della propria azione politica ma, altresì, a ridefinire la propria comunicazione strategica. Come affermò Gaetano Martino, affinché “un senso di comunità leghi le popolazioni così come le istituzioni dei paesi atlantici”, sarà necessario che la comunicazione sia univoca, credibile e chiara e che ad essa corrisponda un efficace coordinamento delle attività di diplomazia pubblica della NATO.
A tal fine, a margine del vertice del Galles, è stato programmato un Future Leaders Summit rivolto alle nuove generazioni
In tale prospettiva, s’inquadra, inoltre, il rafforzamento dell’Atlantic Treaty Association (ATA), organo di raccordo tra la NATO e le pubbliche opinioni dei paesi membri e partner dell’Alleanza. Un’organizzazione composta dai quaranta Comitati Atlantici nazionali di tutti i paesi NATO e partner ed alla cui presidenza, per il periodo 2014-2017, è stata designata l’Italia, nella persona dello scrivente, nonostante il pressoché totale disinteresse delle istituzioni nazionali competenti.
L’Italia dispone di tutte le credenziali per poter pretendere di rivestire ruoli di primaria responsabilità che, tuttavia, gli vengono spesso disconosciuti a causa della perdurante carenza di una visione strategica di medio e lungo periodo, coerente e riconoscibile. Oltre a detenere il primato del paese atlantico che in questi ultimi anni ha annoverato il maggior numero di governi, l’Italia è anche il paese che ospita il maggior numero di Comandi e basi della NATO e degli Stati Uniti. L’Italia, inoltre, si proietta con oltre ottomila chilometri di coste in un bacino della massima rilevanza geopolitica e strategica per l’Alleanza. Negli ultimi decenni, l’Italia è stata l’alleato che, più del Regno Unito o di qualsiasi altro paese europeo, ha seguito gli Stati Uniti in quasi tutte le operazioni di mantenimento della pace.
Con gli Stati Uniti, tra l’altro, l’Italia ha avuto anche l’ardire di cooperare attraverso l’acquisizione ed il rilancio del Gruppo Chrysler. Infine, l’Italia è attualmente al comando della missione in Kosovo, ha rivestito un ruolo fondamentale ai fini di una equilibrata conduzione dell’Operazione Unified Protector ed in Afghanistan è giunta a dispiegare oltre quattromila unità.
Ciononostante, l’Italia non sembra essere in grado di capitalizzare l’impegno profuso, non avendo da ultimo saputo, o forse voluto, assicurare la candidatura italiana alla segreteria generale della NATO che, dal 1 ottobre 2014, sarà affidata all’ex Primo Ministro norvegese, Jens Stoltenberg. Un ulteriore segnale che rivela lo smarrimento, anche presso le nostre istituzioni, di quei valori richiamati da Gaetano Martino e di quella visione e senso di responsabilità con cui, sessantacinque anni or sono, Alcide De Gasperi volle associare l’Italia a quel “formidabile elemento di forza materiale e morale” con cui identificava il Patto Atlantico.
Foto: Isaf, Difesa.it, Eurofighter, NATO
Fabrizio W. LuciolliVedi tutti gli articoli
Presidente del Comitato Atlantico Italiano e Presidente dell’Atlantic Treaty Association, è Docente di Organizzazioni Internazionali per la Sicurezza presso il Centro Alti Studi per la Difesa. Svolge attività di formazione in varie istituzioni nazionali ed internazionali, militari ed accademiche. Già coordinatore di Corsi di alta formazione per ufficiali e diplomatici dei Balcani occidentali e del Medio Oriente, è Direttore e promotore di progetti di cooperazione NATO ed UE in Europa centrale ed orientale.