Pyongyang tra test missilistici, crisi economica e Covid-19
Nel bel mezzo della crisi pandemica globale la Corea del Nord ha ripreso a gran voce i suoi test missilistici. Solo nel corso dell’ultimo mese il paese più blindato al mondo ne ha effettuati diversi.
Non si tratta del tutto di una sorpresa: nel suo discorso durante il settimo incontro plenario del Comitato Centrale del partito tenutosi dal 28 al 31 dicembre il leader Kim Jong Un annunciava che la Corea del Nord avrebbe continuato a ‘sviluppare le necessarie armi strategiche’ nel corso del nuovo anno.
Dalle parole ai fatti. Il primo esercizio di artiglieria pesante ha avuto luogo il 28 febbraio, per quanto sia passato quasi inosservato. L’agenzia di stampa statale Korean Central News Agency affermava l’indomani che Kim aveva supervisionato un’esercitazione militare volta a “giudicare la mobilità e la potenza della capacità di attacco” delle forze di difesa nordcoreane.
Un lancio missilistico è avvenuto il 2 marzo quando due vettori non meglio identificati ma probabilmente missili da crociera sono stati lanciati dalla costa orientale del paese in direzione del Mare d’Oriente.
L’episodio è stato seguito da un triplo lancio di missili a breve gittata la mattina del 9 marzo, partito dalla città costiera di Sondok verso la direzione del Giappone. Stando a Pyongyang si tratta di «test militari di routine».
Vero è che questo sembra il periodo dell’anno privilegiato dal regime di Pyongyang per effettuare i suoi test; nel maggio 2019 il lancio di un missile interrompeva una tregua che era durata fino a quel momento da un anno e mezzo. Nel corso del 2019, durante lo stallo sul nucleare, il regime aveva lanciato ben 13 missili.
Il 21 marzo, ormai nel pieno della crisi pandemica mondiale, la Corea del Nord lanciava altri due missili balistici, da quanto riportato da fonti ufficiali sia sudcoreane che giapponesi. Immagini della TV coreana analizzate da Arms Control mostrano come i missili di breve gittata avessero caratteristiche simili al KN-24, missile balistico a corto raggio testato nell’agosto dell’anno scorso. Secondo la Korean Central News Agency Kim sarebbe stato presente al lancio del 21 marzo ma è verosimile che ciò sia accaduto anche con quelli precedenti.
I lanci testimoniano come Kim Jong Un stia provando a consolidare il consenso interno anche a fronte delle preoccupazioni per la propagazione del coronavirus nella penisola coreana e a nord del 38esimo parallelo in particolare.
Un altro lancio sarebbe avvenuto il 29 marzo quando è stato testato un lanciatore multiplo. L’agenzia di stampa centrale questa volta non ha riportato la supervisione di Kim: a guidare le manovra era il vice presidente del partito al governo Ri Pyong Chol.
Le forze militari sudcoreane hanno riportato di aver rilevato proiettili provenienti dalla città costiera di Wonsan che viaggiavano a 230 km/h ad un’altitudine di 30, riportano le fonti sudcoreane. Il lancio è stato diplomaticamente descritto come ‘inappropriato’, in un momento in cui il mondo è alle prese con l’emergenza sanitaria globale. Dopo questo quarto lancio, il Comando congiunto sudcoreano ha chiesto a Pyongyang di interrompere i test.
Il ministro della difesa giapponese ha affermato che i missili sarebbero caduti in alto mare fuori dalla zona economica esclusiva giapponese. Già dopo i lanci del 9 marzo il segretario di gabinetto giapponese, Yoshihide Suga, ha affermato che l’azione della Corea del Nord «oltre ai suoi ripetuti lanci di missili balistici, è una grave minaccia per la pace e la sicurezza del Giappone ed un grave problema per l’intera società internazionale”.
Una nota ministeriale giapponese ha poi dichiarato preoccupazione a fronte della nuova escalation da parte di Pyongyang anche perché tutti i missili sono stati lanciati in direzione del Giappone, mentre la comunità internazionale resta impegnata principalmente su altri fronti.
L’ultimo lancio è avvenuto la mattina del 14 aprile quando la Corea del Nord ha lanciato una serie di ordigni ritenuti «missili anti-nave» lanciati contemporaneamente da batterie costiere e da jet Sukhoi Su-25 (la simulazione di un attacco su vasta scala a una flotta nemica?), come riferisce il comando di Stato maggiore congiunto sudcoreano secondo cui le operazioni sono avvenute dalla costa orientale vicino alla città di Munchon.
Anche questa volta i vettori sono caduti nelle acque del Mare Oriental. Si vede però come Pyongyang stia cercando di diversificare la sua strategia dato che tutti i lanci sono avvenuti da città diverse.
I missili lanciati sono comunque tutti di beve gittata, quindi potenzialmente capaci di colpire la Corea del Sud e il vicino Giappone, senza però porre una minaccia diretta agli Stati Uniti.
Queste manovre possono quindi essere viste come dei tentativi di Kim Jon Un di riportare l’attenzione su di sé e rafforzare le capacità militari interne a fronte del momento di stallo dei negoziati sul nucleare con gli Stati Uniti e in cui la scomparsa per 20 giorni (fino al 2 maggio) di Kim da eventi ufficiali aveva indotto molti a supporre una sua grave malattia se non la sua morte.
Ipotesi che aveva lasciato scettici gli statunitensi e che è stata smentita il 6 maggio dall’intelligence di Seul mentre il Center for Strategic and International Studies di Washington ritiene che il regime stia completando un nuovo sito missilistico nei pressi della capitale, visibile dalle immagini satellitari e che potrebbe ospitare missili balistici intercontinentali. (nella foto sotto).
Secondo gli analisti, le ultime mosse di Kim sono dirette per lo più a mostrare di avere ancora il controllo della situazione in un momento in cui sia gli Stati Uniti che gli altri paesi, tra cui Corea del Sud Giappone, sono occupati dall’emergenza interna.
Come afferma Kim Dong-yub, analista per l’Institute for Far Eastern Studies di Seul, le mosse di Kim si rivolgono soprattutto alla platea nazionale senza creare per il momento una vera e propria minaccia esterna.
Dopo il primo lancio, Leif Eric-Easley, professore alla Ewha University a Seul, dichiarava alla BBC che [il lancio] è meno provocatorio di altri accaduti in passato, anche se la Corea del Nord «sta rendendo chiaro che continuerà a sviluppare le sue capacità militari e a fare richieste sproporzionate» nel corso dei negoziati.
Le forze armate sudcoreane hanno aperto delle indagini e stanno monitorando ulteriori lanci mantenendosi pronte ad un’escalation.
La Corea del Nord, a detta dei suoi stessi media di Stato, è stata coinvolta in una campagna per prevenire la diffusione del coronavirus. Nel mese di marzo il regime ha chiamato questa campagna una questione di «esistenza nazionale». Nessuna sottovalutazione della minaccia, per quanto finora Pyongyang abbia sempre insistito sul fatto di non aver alcun caso di infezione sul suolo nazionale. Gli esperti sostengono invece che la pandemia in Corea del Nord possa essere molto seria, anche a causa della carenza cronica di forniture mediche e delle infrastrutture sanitarie approssimative.
Il 12 aprile i media di Stato riportavano di un incontro dell’ufficio politico del Comitato Centrale del partito in cui si faceva riferimento a una completa valutazione dell’infiltrazione del virus» nel paese e menzione di «misure nazionale per proteggere la vita e la sicurezza» dei cittadini.
Agli inizi di aprile la Corea del Nord affermava anche che il presidente Donald Trump avrebbe inviato una lettera a Kim, cercando di mantenere buone relazioni e offrendo la sua cooperazione nella lotta contro il virus. I media nordcoreani non diceva però se Trump avesse menzionato gli ultimi test di Pyongyang o meno.
Certo è che la diplomazia nucleare si trova in un momento delicato da quando il presidente americano aveva negate le richieste di un alleviamento delle sanzioni in cambio di una denuclearizzazione limitata durante il secondo summit in Vietnam nel 2019.
La Corea del Nord non aveva intrapreso test nucleari o missilistici di lungo raggio dall’inizio delle trattative con gli USA nel 2018. La ripresa dei test missilistici da parte di Pyongyang potrebbe ora mettere completamente a repentaglio le negoziazioni e tutto il progresso finora.
Da una certa prospettiva un progresso però vi è stato. L’epidemia globale sembra aver avuto l’effetto collaterale di mettere fine agli annosi sforzi di contenimento di traffici illeciti della Corea del Nord, che per gran parte prendono la forma di spedizioni marittime verso la Cina.
Per la prima volta da anni, immagini satellitari mostrano navi nordcoreane rientrate a casa e attraccate nel porto di Nampo, sulla costa occidentale del paese.
L’analisi satellitare condotta dal Royal United Service Institute mostrava che il 3 marzo 139 navi rimanevano ferme in porto. Di queste facevano chiaramente parte anche navi che erano già state coinvolte nella violazione delle sanzioni imposte dalle Nazioni Unite, tra cui alcune tra le più attive petroliere come la New Regent che aveva violato le sanzioni ancora in gennaio. Altre navi galleggerebbero in mare da settimane lungo le coste nordcoreane forse aspettando di capire quale sarà la loro sorte.
Un aumento nel numero delle navi nordcoreane è stato segnalato anche a Chongjin, un’altra importante città industriale sulla costa orientale del paese, a soli 50 chilometri dal confine cinese.
La caduta delle importazioni di petrolio, che avvengono attraverso trasferimenti illeciti dato che sono vietate ai sensi delle risoluzioni sanzioni ONU, potrebbero aver già pesantemente colpito il settore agricolo nordcoreano proprio all’inizio della stagione buona, aggravate dall’interruzione delle importazioni di fertilizzanti dalla Cina.
I confini con la Cina erano stati chiusi il 22 gennaio, nello stesso momento in cui le autorità cinesi avevano annunciato il lockdown della città di Wuhan.
Secondo Park Jong-chol, professore all’Università di Gyeongsang della Corea del sud, l’impatto della chiusura sull’economia nordcoreana potrebbe essere disastroso. Tutto il traffico sia il traffico lecito che illecito (la gran parte del business di Pyongyang) è stato sospeso come conseguenza del blocco dei traffici internazionali.
L’ultimo report ufficiale del gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Corea del Nord è uscito nell’agosto dell’anno scorso, quindi ben prima dell’attuale crisi sanitaria. Esso affermava che il programma di distruzione di massa del regime rimanevano intatti e che nei mesi precedenti vi era stato addirittura un aumento nei trasferimenti marittimi di petrolio e carbone.
La Cina è attualmente responsabile di più del 95 per cento del business commerciale di Pyongyang. Il secondo paese che commercia con Pyongyang è la Russia, anche se questo conta solo per il 1,2 per cento del volume totale del commercio di Kim. Non stupisce quindi che una delle ultime navi che ha tentato di salpare ma è ritornata nelle acque nordcoreane, la Tian Tong, si sospetta trasportasse illecitamente carbone verso la Cina.
La nave era stata identificata vicino all’isola cinese di Zhoushan, (a 600 km da Nampo) il 31 gennaio ben dopo la chiusura del confine con la Cina ed era dotata di segnale trasmettitore falso per nascondere l’origine nordcoreana, tattica nota usata da Pyongyang per condurre i suoi traffici illeciti. La nave, come mostrano le immagini satellitari, è ritornata in Corea del Nord i primi di febbraio e resta attraccata nel porto di Nampo.
Resta ovviamente difficile da valutare la diffusione del coronavirus all’interno del paese. Secondo lo stesso Jong-khol l’impatto del COVID-19 in poco più di due mesi sarebbe di lunga maggiore rispetto a quello delle sanzioni multilaterali, esistenti dal 2006 e rafforzate a più riprese, con un inasprimento nel 2016.
L’ultima relazione annuale dell’Ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite ha sollevato l’allarme sulla mancanza di “cibo e medicinali salvavita”, accompagnata dai segnali negativi riguardo al mercato del lavoro. Più del 40% della popolazione necessiterebbe di programmi di assistenza.
Di fronte a un tale quadro, si può solo immaginare quale possa essere l’impatto del COVID-19 nel paese. E’per le possibili conseguenze umanitarie che a inizio marzo l’ambasciatore cinese alle Nazioni Unite Zhang Jun aveva chiesto flessibilità nei confronti di Pyongyang.
E’ sintomatico però che da febbraio il governo abbia autorizzato un singolo volo della compagnia di bandiera Air Koryo a lasciare il paese.
Secondo quanto riportato da Al Jazeera a fine marzo, un attivista originario della Corea del Nord che ora è a capo dell’Associazione dei transfughi nordcorean in Corea del Sud, sostiene di avere notizie di casi di Covid-19 in Corea del Nord; secondo queste, il primo caso sarebbe stato confermato il 27 gennaio e successivamente il governo avrebbe dichiarato lo stato di emergenza.
Se l’epidemia ha dato un taglio ai commerci illeciti di Pyongyang, a preoccupare sono altre immagini satellitari che segnalano come il regime sarebbe pronto ad alzare la posta su un altro fronte. Immagini scattate da DigitalGlobe a fine febbraio che segnalano come Pyongyang stia assemblando alcuni missili intercontinentali nel sito di Sanumdong, vicino alla capitale.
La Corea del Nord, forse anche innervosita dal difficile business via mare al momento poco redditizio con la Cina, potrebbe volere lanciare un segnale forte, in questo caso sia come propaganda verso l’interno che come minaccia verso l’esterno. Il monitoraggio dei lanci di missili a breve gittata e della loro portata nelle prossime settimane potrebbe aiutare a capire le prossime mosse che Pyongyang ha in mente.
Foto: KCNA, Rodong Simmun e Mixar Technolgies
Sigrid LipottVedi tutti gli articoli
Classe 1983, Master in Relazioni Internazionali e Dottorato di Ricerca in Transborder Policies IUIES, ha maturato una rilevante esperienza presso varie organizzazioni occupandosi di protezione internazionale delle minoranze, politica estera della UE e sicurezza internazionale. Assistente alla cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali e Politica Internazionale presso l'Università di Trieste, ricercatrice post-dottorato presso il Centro di Studi Europei presso l'Università Svizzera di Friburgo, e junior member presso la Divisione Politica Europea di Vicinato al Servizio Europeo per l'Azione Esterna. Lavora attualmente presso Small Arms Survey a Ginevra come Ricercatrice Associata.