La misteriosa vicenda dei contractors del Gruppo Wagner in Bielorussia
A più di un anno dall’arresto di 33 membri del Gruppo Wagner in Bielorussia, la CNN ha pubblicato un articolo sulla presunta operazione dell’intelligence militare ucraina per la loro cattura.
Operatori la cui appartenenza alla compagnia militare ibrida di Yevgeny Prigozhin non è ancora stata concretamente dimostrata, ma che nel giro di pochi giorni sono passati dall’essere considerati prima terroristi, poi sobillatori e ancora criminali di guerra, contractors in transito e, addirittura, vittime di un complotto internazionale.
Nell’articolata vicenda, l’unica cosa certa è come i diversi Paesi coinvolti – Bielorussia, Ucraina, Russia e Stati Uniti – abbiano sfruttato la negabilità plausibile derivante dall’impiego di queste entità private o ibride per scaricare responsabilità a proprio vantaggio; tanto nei conflitti internazionali, quanto in quelli interni.
Dall’arresto di sobillatori …
Trentadue cittadini russi, presumibilmente appartenenti al Gruppo Wagner, sono stati arrestati in un austero sanatorio di epoca sovietica alle porte della capitale bielorussa, Minsk a fine luglio 2020. Un trentatreesimo elemento, con doppia cittadinanza, è stato preso nella parte meridionale del Paese, dove risiedeva con la famiglia.
Alloggiati al secondo piano di un edificio alquanto appartato rispetto al resto del comprensorio, i russi avevano attirato immediatamente l’attenzione di staff ed ospiti del resort Belorusochka fin dal loro arrivo. Non bevevano vodka, non mostravano interesse per le donne presenti e passavano il tempo esclusivamente ad allenarsi; tutto decisamente insolito per dei turisti russi!
Nella tarda notte del 29 luglio forze speciali OMON della Polizia e del KGB bielorusso hanno fatto irruzione nelle loro stanze e li hanno arrestati con l’accusa di terrorismo. Le loro immagini in mutande, ammanettati e stesi pancia a terra e, successivamente, caricati su furgoni senza insegne hanno fatto il giro del mondo.
Valery Vakulchik, l’allora capo del KGB, ha confermato che si trattava di uomini del Gruppo Wagner entrati in Bielorussia il 25 luglio. Essi avrebbero fatto parte di un gruppo di circa 200 operatori infiltratosi nel Paese per destabilizzarlo in vista delle elezioni presidenziali del 9 agosto.
Un contingente straniero che il presidente Lukashenko stesso ha affermato di essere fermamente determinato ad assicurare alla giustizia.
Nel frattempo, le autorità russe brancolavano nel buio. Ad un imbarazzato Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino che dopo più di 24 ore era riuscito solamente ad affermare di essere “a corto d’informazioni” è subentrato l’ambasciatore russo a Minsk, fornendo una prima ricostruzione dei fatti: i suoi concittadini dovevano prendere un aereo per Istanbul ma, a causa di un ritardo di alcuni giorni, avevano dovuto trovare un posto dove alloggiare.
Essi, infatti, come previsto da un contratto stipulato con una società bielorussa, avrebbero dovuto fornire servizi di sicurezza in un “paese terzo” e, essendo i confini russi chiusi a causa della pandemia, per raggiungerlo dovevano necessariamente passare per la Bielorussia che, al contrario, li ha sempre tenuti aperti.
A supporto di tale versione dei fatti delle banconote straniere – dollari americani e sterline sudanesi – e una carta telefonica con impressa la fotografia di una moschea – quella di Khatmiya, a Kassala in Sudan – sequestrate loro e mostrate nei filmati della Polizia.
Tuttavia, da Minsk hanno fatto sapere che Mosca, oltre a non aver spiegato come mai i suoi uomini alloggiassero in un resort proprio sul lato opposto della città rispetto all’aeroporto, non ha mai espresso, né in via ufficiale né ufficiosa, le sue intenzioni di trasferire operatori del Gruppo Wagner o di altre compagnie – militari o – di sicurezza private attraverso la Bielorussia.
…alla trappola per criminali di guerra
La vicenda si è ben presto arricchita di ulteriori colpi di scena. Alla base, infatti, della presenza dei contractors russi a Minsk vi sarebbe stato un elaborato piano dell’intelligence militare ucraina, di cui sarebbero stati a conoscenza, se non direttamente implicati, anche gli Stati Uniti.
Attraverso un sito web membri dell’SBU ucraino si sarebbero spacciati per una compagnia di sicurezza – o militare – privata russa in cerca di operatori per redditizie attività all’estero. Nello specifico: contratti da 5.000 dollari al mese per proteggere pozzi petroliferi in Venezuela.
Agli annunci avrebbero immediatamente risposto centinaia di sedicenti contractors, offrendo a Kiev un’opportunità senza precedenti per individuare ed adescare quelli sospettati di crimini di guerra nel Donbass.
Gli ucraini avrebbero iniziato a contattarli per chiedere loro di presentarsi, parlare del proprio background militare e provare di non essere dei millantatori. I contractors avrebbero, così, cominciato a fornire informazioni su di sé: documenti, tesserini di riconoscimento militari, fotografie, filmati e quant’altro potesse dimostrare la loro presenza e/o partecipazione ad operazioni e battaglie in vari teatri operativi, non solo in Ucraina orientale.
Quattro di loro avrebbero partecipato all’abbattimento dell’Ilyushin Il-76 ucraino a Luhansk nel giugno 2014, provocando la morte dei 49 militari a bordo (nella foto sopra).
Altri due sarebbero stati perfino presenti all’abbattimento dell’MH17 della Malaysian Airlines, costato la vita a 298 persone il 17 luglio 2014 (nella foto sotto). Individuare e punire questi soggetti era, quindi, ancora più importante per Kiev, ma anche per Washington!
Nonostante abbiano negato ogni loro coinvolgimento, secondo i funzionari dell’intelligence ucraina intervistati dalla CNN, non solo gli americani sarebbero stati al corrente dell’operazione, ma la CIA avrebbe avuto un ruolo diretto fornendo denaro, assistenza tecnica e consulenza.
Con lo stratagemma di “reclutamento” gli uomini dell’SBU avrebbero semplicemente selezionato i candidati con i legami più prossimi a quanto commesso nel Donbass. Nello specifico 28 individui direttamente coinvolti ed altri 5 senza alcun legame, in modo da non creare sospetti.
Secondo il piano avrebbero dovuto prendere, infine, un aereo per la Turchia e da lì partire per il Venezuela. In realtà, con la scusa di un atterraggio d’emergenza, il volo sarebbe stato dirottato in territorio ucraino per arrestarli e processarli.
Giunti nella capitale bielorussa con un autobus, però, un ritardo di alcuni giorni subito dal loro volo ha obbligato gli uomini della Wagner ad alloggiare al Belorusochka, dove i servizi di sicurezza locali sono entrati in azione poche ore prima della loro partenza.
Il 5 agosto 2020, ad una settimana dall’arresto, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha telefonato al bielorusso Lukashenko, chiedendone fermamente l’estradizione.
Trascorsi altri due giorni, però, la richiesta di Zelensky è stata respinta. Il presidente bielorusso, dopo aver parlato con Vladimir Putin e mandato il proprio figlio in carcere, a sincerarsi delle condizioni dei contractors, ha, infatti, consentito loro di tornare in Russia nel giro di una settimana. Il cittadino bielorusso, nonché trentatreesimo arrestato è, invece, rimasto in patria.
Rientrati in Russia, diversi contractors hanno dichiarato ai media di non avere alcun legame con il Gruppo Wagner e di essere transitati in territorio bielorusso solo per raggiungere il Venezuela, per motivi di lavoro.
Zelensky contro gli oligarchi
A Kiev le voci sul presunto complotto ucraino-americano contro il Gruppo Wagner hanno portato le fazioni politiche rivali ad accusarsi reciprocamente di alto tradimento.
Gli oppositori del presidente Volodymyr Zelensky (nella foto sotto), la maggior parte dei quali oligarchi o membri del loro entourage, hanno confermato l’esistenza dell’operazione dell’intelligence ucraina, fatta appositamente fallire dall’alto.
A metà agosto 2020 il reporter Yury Butusov e il veterano dell’esercito Yevgeny Shevchenko hanno parlato di una trappola pianificata dal SBU per oltre un anno e fallita nelle sue fasi finali.
Dopo che ne era stato informato l’Ufficio del Presidente e si era deciso di posticiparla poco prima che scattasse. Butusov ha accusato apertamente di “tradimento e sabotaggio” Andriy Yermak, capo dello staff presidenziale che avrebbe avvisato i russi dell’operazione in corso, al fine di evitare tensioni e normalizzare i rapporti con Mosca. Una volta trapelata la notizia, i bielorussi avrebbero, quindi, simulato l’arresto degli uomini della Wagner ed organizzato il loro rientro in Russia.
A settembre dell’anno scorso, poi, Volodymyr Aryev e Oleksiy Goncharenko, membri del partito Solidarietà Europea dell’ex presidente Petro Poroshenko, hanno fornito presunte prove del coinvolgimento presidenziale nel fallimento dell’operazione e nella copertura di chi aveva passato informazioni al Cremlino. Tre giorni dopo è stata presentata una petizione sul sito del Parlamento ucraino per la creazione di una Commissione d’Inchiesta Temporanea per indagare sul possibile alto tradimento.
Lo stesso Petro Poroshenko, in un’intervista di fine 2020, ha ammesso di aver dato il via all’operazione per la cattura degli uomini del Gruppo Wagner nel 2018, quando era ancora in carica. Operazione di cui ha confermato l’esistenza anche l’ex capo dell’Ufficio del presidente Zelensky, Andriy Bohdan, predecessore di Yermak.
Sostenitori e rappresentanti dell’attuale governo, Yermak e Zelensky in primis, hanno smentito l’esistenza di tale operazione, parlando invece di complotti di altri Paesi – Stati Uniti – o di “una campagna di disinformazione ben pianificata” dell’intelligence russa per screditare l’Ucraina agli occhi del mondo intero. Un tentativo sostenuto da quegli ucraini che vorrebbero ostacolare Zelensky, impedendogli di porre fine alla crisi nel Donbass entro la scadenza del suo mandato.
Kirill Budanov, capo del Direttorato Principale dell’Intelligence del Ministero della Difesa ucraino – HUR MOU – ha aggiunto che, qualora fosse esistita la suddetta operazione, i russi l’avrebbero certamente scoperta in tempo, senza rischiare la cattura dei propri uomini.
Oleksandr Danilyuk, leader del movimento Causa Comune ed ex consigliere del Ministro della Difesa ucraino ha parlato di accuse che non stavano nemmeno in piedi. Ha chiarito come un’operazione tanto delicata avrebbe potuto essere autorizzata solo dal Presidente stesso e che, quindi, non ne sarebbe stato messo a conoscenza nelle fasi finali come sostenuto dai suoi oppositori. Il transito attraverso la Bielorussia ad una settimana dalle elezioni, poi, apparirebbe decisamente illogico. Lukashenko aveva, infatti, definito la Russia un avversario e uomini della Wagner in territorio bielorusso avrebbero certamente attirato reazioni delle autorità locali.
Così come, essendo il Gruppo Wagner strettamente connesso a forze speciali e servizi d’intelligence russi, non avrebbe mai operato senza coordinamento con loro, perfino nell’ambito di contratti privati.
Al momento dell’arresto, quindi, invece di dichiarare di non avere informazioni al riguardo, Mosca avrebbe potuto denunciare immediatamente l’esistenza di un complotto ai danni dei suoi “cittadini.” Invece, pare che la storia sia stata inventata pochi giorni dopo l’arresto dei contractors ed in seguito ai negoziati con Minsk per il loro rilascio.
Nel frattempo, una Commissione d’Inchiesta Temporanea è stata istituita il 19 maggio 2021 per indagare, tra le altre cose, anche sul possibile coinvolgimento di alti funzionari governativi ucraini nella fuga di notizie sul Gruppo Wagner. Nella prima seduta, tenutasi il 10 settembre, il presidente della Commissione Mariana Bezuhla ne ha esposto le conclusioni preliminari, indicando che “non è stata direttamente autorizzata alcuna operazione speciale relativa all’atterraggio forzato di un aereo turco con a bordo uomini del Gruppo Wagner in Ucraina.”
Bensì un’attività di raccolta di informazioni, di esclusiva responsabilità ucraina, senza il coinvolgimento di altri Paesi che, dal 2018, ha portato all’individuazione di membri del gruppo Wagner che hanno partecipato alla guerra nel Donbass. Soggetti che, nel luglio 2020, l’SBU ucraino ha chiesto al GRU russo di isolare e consegnare; 8 dei quali erano anche cittadini ucraini.
La commissione, costituita solamente da membri di due partiti di Governo e aspramente criticata dell’opposizione per esserne stata esclusa, ha iniziato ad interrogare alcuni funzionari governativi e dei servizi di sicurezza. Tuttavia, per il momento, la Bezhula non ha ritenuto necessario convocare né il presidente Zelensky, né Andriy Yermak.
Qualche considerazione
L’arresto dei presunti uomini della Wagner è servito ad alimentare la propaganda nazionalista e i timori di un intervento russo, al fine di accrescere i consensi del presidente Lukashenko in vista delle elezioni del 9 agosto.
Alexander Lukashenko (nella foto sotto), al potere da 25 anni e definito l’ultimo dittatore d’Europa, si trovava infatti a dover affrontare un’avversaria alquanto minacciosa.
Moglie di un popolare blogger arrestato con accuse fabbricate dopo essersi candidato, Svetlana Tikhanovskaya ha preso il posto del marito, riuscendo ad ottenere significativi risultati in quelle città e villaggi più piccoli, da sempre considerati bastioni di Lukashenko. Questo, principalmente a causa del malcontento popolare per la stagnazione economica e la trascuratezza nella gestione della crisi pandemica.
Lukashenko ha, così, ripetutamente agitato lo spauracchio delle interferenze straniere — in particolare russe — per apparire l’uomo forte, adatto a difendere la sovranità del Paese ed evitare che finisse come l’Ucraina.
Nonostante la Bielorussia sia da tempo un fedele vassallo di Mosca, dipendendo dalla stessa attraverso una stretta relazione energetica soprannominata “oil for kisses”, i rapporti con Mosca si sono, infatti, considerevolmente deteriorati a partire dell’invasione russa della Crimea; peggiorando poi ulteriormente dal 2019 a causa del prezzo della fornitura di petrolio russo e del delicato processo di integrazione economica dei due Paesi nell’Unione Statale.
Ciò ha portato Lukashenko a riconsiderare la dipendenza da Mosca e a riavvicinarsi all’Occidente. Nel 2015, infatti, ha liberato tutti prigionieri politici, chiedendo e ottenendo la sospensione delle sanzioni da parte di Unione Europea e Stati Uniti.
Washington e Minsk hanno, inoltre, siglato diversi accordi diplomatici negli ultimi 18 mesi, tra cui lo scambio di ambasciatori per la prima volta in oltre dieci anni.
Le pesanti proteste innescate dall’ennesima e scontata vittoria elettorale di Lukashenko l’hanno, tuttavia, spinto a riavvicinarsi alla Russia e a chiederne l’aiuto. Da sobillatori, i russi sono, così, passati ad essere considerati vittime di un complotto internazionale e, alla fine, tutte le accuse nei loro confronti sono cadute.
Per quanto riguarda la Russia, sebbene abbia più volte dimostrato la sua determinazione nell’intervenire nei Paesi circostanti quando troppo concilianti con l’Occidente – Georgia nel 2008 ed Ucraina nel 2014, gli analisti dubitano che abbia mai tentato di rovesciare Lukashenko: soprattutto vista l’assenza di una valida alternativa in un momento difficile anche per sé stessa, a causa della pandemia e conseguente crisi economica.
Da Mosca hanno, quindi, solamente denunciato il coinvolgimento di servizi d’intelligence stranieri nella tentata detenzione di loro cittadini; in particolare degli americani, interessati a colpire sia il Gruppo Wagner, che ad incrinare ulteriormente le relazioni Mosca-Minsk.
Da parte loro, i contractors del Gruppo Wagner o di qualunque altra compagnia russa dovrebbero adottare maggior precauzioni nell’utilizzo del web e Mosca, fare in modo che ciò avvenga, onde evitare di essere trascinata in situazioni imbarazzanti nonostante la tanto decantata negabilità plausibile offerta dall’impiego delle Compagnie Provate Militari e di Sicurezza (PM&SC).
Oltre alla recente trappola del SBU, i contractors – ma anche soldati regolari – russi, attraverso post, geolocalizzazioni ed un più generale utilizzo dei social network – come VKontakte e Odnoklassniki – hanno inavvertitamente fornito numerose informazioni e confermato la loro presenza in determinati teatri operativi, Donbass e Siria in particolare, a tutta una serie di servizi d’intelligence stranieri.
Dati tanto sensibili da spingere il Ministero della Difesa russo a presentare a fine 2017 un emendamento alla legge “sullo stato del personale militare” per inserire specifici divieti sulla condivisione di contenuti sui social: provvedimento che avrebbe dovuto entrare in vigore ad inizio 2018.
Gli Stati Uniti hanno respinto le accuse, sia dei russi che degli stessi ucraini. In particolare, hanno definito quello di Kiev un tentativo per “condividere o scaricare la colpa” su di loro per un’importante operazione fallita. Un fallimento che, oltre alle risorse impegnate per 18 mesi, ha visto sprecare l’ennesima occasione per accendere i riflettori sui crimini commessi nel Donbass e dimostrare, concretamente, la ferma intenzione di portare avanti la propria guerra ed istanze contro la Russia.
Sull’Ucraina, invece, indipendentemente dall’esistenza dell’operazione segreta, risulta evidente come Mosca abbia ancora la capacità di penetrare e manipolare la politica interna di Kiev per i propri interessi. Una pericolosa vulnerabilità che si concretizza con fortissime divisioni interne: partiti rivali disposti a combattersi con tutti i mezzi, perfino rivelando segreti di Stato al nemico.
Da una parte gli oligarchi, gruppo ristretto di ricchissimi uomini d’affari che dagli anni 90 dominano o influenzano la vita politica ed economica del Paese, con orientamenti pro-Cremlino e contatti strettissimi con Mosca. Dall’altra il presidente Zelensky che ha recentemente adottato una specifica legge per impedire una loro eccessiva influenza. Nella fattispecie impedendone il finanziamento di partiti politici o la privatizzazione di assets o società strategiche.
Tuttavia, i critici del presidente temono che la legge possa essere applicata in maniera selettiva, colpendo gli oligarchi nemici, tra cui Viktor Medvedchuk e Petro Poroshenko, e risparmiando i sostenitori come Igor Kolonoisyki.
Pochi giorni prima della discussione del progetto di legge contro gli oligarchi in Parlamento, l’auto presidenziale su cui viaggiava Serhiy Shefir, primo consigliere di Zelensky è stata raggiunta da una raffica di proiettili nei pressi di Lisnyky a sud di Kiev, provocando il ferimento dell’autista. I responsabili non sono stati identificati, ma le autorità hanno dichiarato che l’attacco può essere di matrice interna o straniera.
Sebbene dal Cremlino abbiano categoricamente negato ogni coinvolgimento, per diversi aspetti l’attacco ricorda quelli presumibilmente compiuti dal Gruppo Wagner nel Donbass, per eliminare leader separatisti troppo irrequieti: l’assassinio di “Batman” – al secolo Alexander Bednov – con un colpo di RPG contro la sua vettura il 1° Gennaio 2015 e quello di Aleksei Mozgovoi, leader del battaglione Ghost, il cui convoglio è stato bombardato e mitragliato a Luhansk il 23 maggio 2015.
Per far maggior chiarezza sull’intera vicenda, restiamo in attesa della pubblicazione dell’indagine del sito di giornalismo investigativo Bellingcat e di due suoi documentari su quello che è stato definito il “Wagnergate”: il primo sull’eroica operazione dell’SBU e l’altro sull’incapacità delle autorità ucraine. Dopo essere stato ripetutamente posticipato – da aprile a maggio, poi il 29 luglio – dovrebbe essere in uscita quest’autunno. Nel frattempo, lo stesso Bellingcat ha pubblicato il trailer di un misterioso documentario che sembra averli anticipati…
Foto: KGB Bielorusso, TASS, Kiev Post, Twitter, PU e BelTA
Pietro OrizioVedi tutti gli articoli
Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.