La Libia rischia di tornare ad esplodere
(aggiornato alle ore 23,55)
Si torna a combattere a Tripoli dopo la battaglia del 2019 conclusasi con il fallimento del tentativo dell’Esercito Nazionale Libico del generale Khalifa Haftar di conquistare la capitale libica.
Il 27 agosto si sono affrontate le milizie affiliate al Governo di Unità Nazionale libico (GUN), guidato da Abdulhamid Dabaiba(nella foto sotto), e quelle vicine al premier designato del Governo di Stabilità Nazionale (GSN), Fathi Bashagha.
Dopo circa 24 ore di combattimenti, Tripoli è tornata ieri stabilmente sotto il controllo delle forze affiliate a Dabaiba composte dalla Forza Rada, guidata da Abdel Raouf Kara, dalla Brigata 444 guidata da Mahmoud Hamza; e dalla Forza di sostegno alla stabilizzazione, guidata da Abdel Ghani al Kikli.
Le milizie vicine a Bashagha, incentrate sulla Brigata 777 e il Battaglione 92 guidati da Haitham al Tajouri, si sono ritirate dopo una serie di scontri che secondo il ministero della Sanità hanno provocato 32 morti (tra i quali 17 civili) e 159 feriti.
Come riferisce l’agenzia di stampa Nova, tutte le forze fedeli a Bashagha (nella foto sotto) hanno dovuto ripiegare: la Brigata Al Nawasi ha perso anche tutte le sue postazioni all’interno di Tripoli e il comandante della Brigata, Mustafa Kaddour, sarebbe fuggito via mare. A ovest di Tripoli le brigate Al Dhawi e Abu Zariba si sono ritirate. Sul fronte orientale, le forze della Brigata 217, guidata da Salem Juha, non hanno potuto entrare a Tripoli, bloccate dalle forze di Dabaiba.
Per Bashagha si tratta dell’ennesimo fallimento di prendere Tripoli e dare un solo governo alla Libia. A maggio un tentativo di insediare il suo governo a Tripoli aveva innescato scontri che si conclusero con il suo ritiro dalla capitale. Dabaiba ha accusato il rivale di avere innescato le violenze a Tripoli dopo avere rifiutato colloqui di pace per tenere nuove elezioni alla fine di quest’anno.
Dabaiba ha inoltre accusato oggi suoi rivali di rispondere ad “agende straniere”, definendoli “criminali” e “golpisti” che hanno “fatto la guerra nella capitale con carri armati e armi pesanti”. “Perseguiremo tutti coloro che sono coinvolti” nelle violenze, ha detto, promettendo di trasferire alcune sedi dei gruppi armati fuori dal centro della capitale.
Bashagha – ripreso da al-Wasat – ha sottolineato la sua “rinuncia costante alla violenza” e la sua “assoluta adesione all’esercizio dei diritti politici con mezzi pacifici”, accusando il premier rivale di sfruttare “risorse e capacità’ statali” per formare e sostenere gruppi armati per rafforzare il suo governo e stabilire “un regime dittatoriale, uno Stato tirannico che prende di mira chiunque vi si opponga”.
La battaglia per Tripoli, anche se breve, rischia di riportare la Libia a una condizione di conflitto aperto, situazione particolarmente sgradita per l’Italia che già deve fare i conti con il nuovo boom dei flussi di immigrati illegali dalle coste della sua ex colonia che si aggiungono a flussi altrettanto in crescita da Tunisia e Turchia (ormai 57 mila sbarcati da inizio anno).
Meglio poi non dimenticare che sui flussi dalla Libia, questa volta di gas, l’Italia punta in modo particolare per compensare il taglio delle forniture dalla Russia: un tracollo anche di questa fonte di approvvigionamento aggraverebbe i già drammatici effetti della crisi energetica in Italia ed Europa.
Ciò nonostante da tempo il quasi totale disinteresse di Roma per quanto avviene a Tripoli sembra confermare che l’Italia sembra aver perso ogni influenza sulla Libia.
Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) nella relazione approvata il 19 agosto aveva segnalato una “permanente conflittualità” sottolineando che “l’impegno della Russia in Libia rimane molto intenso, in forza della presenza delle milizie del Gruppo Wagner nella Cirenaica controllata dal generale Haftar”.
La crisi determinata dagli scontri delle ultime ore potrebbe rafforzare ulteriormente Haftar (e di certo rafforza “i signori della guerra” di Tripoli schierati con Dabaiba) ma probabilmente l’enfasi posta a Roma e in Europa sul ruolo di Mosca è legato soprattutto al contesto generale determinato dal conflitto in Ucraina e sembra trascurare il fatto che le tensioni in Libia dipendono in questa fase forse più da rivalità interne che dal ruolo delle potenze che esercitano maggiore influenza sulla nostra ex colonia (Turchia, Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti).
Foto Libya Express, Libya Herald e Libya Observer
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