Gli alpini lasciano Bakwa ma l’esercito afghano è debole
Continua il progressivo ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan Occidentale. Ieri a Farah si è svolta la cerimonia formale che ha segnato l’inizio della transizione alle autorità afghane di sei distretti di quella provincia nella quale sono schierati gli alpini del 9° reggimento dell’Aquila che costituisce la base della Task Force South al comando del colonnello Riccardo Cristoni. Per la regione occidentale dell’Afghanistan si tratta del secondo evento nell’arco di pochi giorni che riguarda il processo di transizione, denominato ‘Inteqal’, in base al quale il Governo afghano assumerà entro la fine del 2014 la leadership globale sulle questioni inerenti la sicurezza del Paese: martedì era stato infatti siglato il documento ufficiale che sancisce il passaggio alle forze di sicurezza locali della responsabilità della sicurezza in numerosi distretti della provincia di Herat. La transizione – che nella regione ovest è monitorata dalla Cellula Stabilità del Regional Command West guidata dal colonnello dell’Aeronautica Militare Luca Capasso – è stata suddivisa in cinque tranches sulla base dei progressi ottenuti relativamente al sistema giudiziario, allo sviluppo e alla governance in ambito distrettuale, oltre alla sicurezza. I distretti che inizieranno la transizione oggi – Farah, Bala Boluk, Anar Dara, Lash-e-Juwayn, Qala-e-Kah e Shayb Koh – sono inseriti nella terza tranche, portando a 30 su un totale di 43 i distretti attualmente in transizione situati nella regione dove opera il contingente italiano. La partnership con le forze di sicurezza afghane continuerà con un cambio di ruolo, per i militari italiani, da una missione attiva ad un compito di sostegno. Martedì è stato anche completato il ritiro italiano da Bakwa (distretto orientale della provincia di Farah) dove gli alpini del 2° reggimento hanno passato le consegne della base avanzata di Camp Lavaredo a un centinaio di militari dell`esercito afghano. Negli ultimi quattro mesi la Task Force South East comandata dal colonnello Cristiano Chiti e costituita da compagnie del 2° reggimento, specialisti del 32° genio guastatori e del 232° reggimento trasmissioni hanno condotto le operazioni congiunte on le truppe afghane Shaping South e Al Dhui arrestando numerosi insorti e sequestrando ingenti quantitativo di armi e munizioni nel tentativo di indebolire le capacità dei talebani presenti in quest’area e soprattutto lungo la Ring Road e la strada 515. Le due operazioni si sono sviluppate per oltre otto settimane nelle provincie di Herat e Farah e hanno visto scendere in campo oltre 4.mila soldati e poliziotti afghani e 2 mila italiani appoggiati da elicotteri, cacciabombardieri AMX e “droni” Predator. Nei mesi scorsi le truppe italiane avevano già ceduto agli afghani i settori di Bala Murghab (a nord, nella provincia di Badghis) e del Gulistan, poche decine di chilometri a est di Bakwa dove il presidio dell’esercito verrà affiancato nelle prossime settimane da forze scelte della Terza brigata di polizia afghana affiancate da consiglieri militari statunitensi. Il ritiro italiano da tutto il settore orientale di Farah, territorio di confine con la provincia “calda” di Helmand, lascia aperti molti dubbi circa le possibilità delle forze di Kabul di affrontare gli insorti prive di mezzi protetti ed elicotteri.
Perplessità che non riguardano solo l’Ovest ma tutto l’Afghanistan e che sono state espresse esplicitamente dal “Rapporto sui progressi verso la sicurezza e la stabilità in Afghanistan” redatto dal Pentagono nel quale emerge come solo una delle 23 brigate dell’Afghan National Army (Ana) sia oggi in grado di combattere autonomamente senza il supporto delle truppe della Nato. Lo studio ammette che il livello di violenza nel Paese è superiore (tranne che nei centri urbani di Kabul e Kandahar) al periodo precedente l’invio dei 33 mila rinforzi statunitensi autorizzati da Barack Obama a inizio 2010 ma gli attacchi talebani sarebbero aumentati solo dell’uno per cento nei mesi scorsi durante la fase di ritiro dei rinforzi statunitensi. Il rapporto che ogni sei mesi il Pentagono presenta al Congresso sulla situazione in Afghanistan, doveva diventare pubblico prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ha raccontato ieri il New York Times ma la sua presentazione è stata posticipata senza spiegazioni dal Dipartimento della Difesa. Il documento riporta dati raccolti tra aprile e settembre e vede la luce in concomitanza con le valutazioni della Casa Bianca circa la tempistica del ritiro dei 68 mila militari statunitensi ancora presenti in Afghanistan. Fonti militari parlano di un confronto in atto tra il generale John R. Allen, comandante delle truppe alleate in Afghanistan, che vorrebbe mantenere la maggior parte dei 68mila soldati americani in almeno fino al prossimo autunno, e la Casa Bianca che vorrebbe accelerare il rimpatrio delle truppe anche per ragioni politiche considerato che dei 2.165 caduti americani nel conflitto afghano iniziato nell’ottobre 2001 ben 1 .218 sono morti dal 2010 a oggi. Il ritiro verrà completato alla fine del 2014 anche se Washington e Kabul hanno aperto negoziati circa la consistenza delle forze anti-terrorismo e degli istruttori militari americani che resteranno nel Paese dopo quella data. Secondo le valutazioni del Pentagono ”l’insorgenza guidata dai talebani resta determinata e conserva la capacità di piazzare un numero consistente di ordigni esplosivi improvvisati e di condurre attacchi isolati di alto profilo ” e “mantiene anche una notevole capacità di rigenerarsi”. La notizia positiva è che gli insorti sono sempre meno in grado di sferrare attacchi diretti contro i soldati americani e afghani e per questo ricorrono sempre più spesso a ”omicidi, sequestri, tattiche intimidatorie, e insider attack nei quali infiltrati talebani nei ranghi dell’esercito afghano attaccano le truppe alleate. Quest’anno si sono registrati 37 casi del genere con oltre 60 morti tra i contingenti della Nato, contro i soli due del 2007, quando però Ana e polizia contavano poche decine di migliaia di uomini. Nel complesso il ritiro di 50 mila militari alleati ha contribuito per il secondo anni consecutivo a ridurre le perdite alleate scese a oggi a 391 militari da gennaio (301 statunitense, 44 britannici e 46 di altri contingenti tra i quali 7 italiani) contro i 566 dell’anno scorso e i 711 del 2010.
Il governo afghano conferma però l’incremento delle perdite tra i suoi reparti salite a 300 caduti al mese tra esercito e polizia che oggi pianificano e conducono l’80 per cento delle operazioni rispetto al 50 per cento dei mesi estivi. Il report del Pentagono sottolinea inoltre come la ”diffusa corruzione” continui a contribuire all’indebolimento del governo centrale, unita all’impossibilità di accesso ”alle zone rurali a causa della mancanza di sicurezza”, alla ”mancanza di coordinamento tra governo centrale, province e distretti” e agli squilibri nella ”distribuzione del potere tra potere giudiziario, legislativo ed esecutivo”. Il Pakistan inoltre, secondo il Pentagono, persiste nel fornire supporto ai talebani anche se si nota “un miglioramento a livello generale nei rapporti tra Islamabad e Washington”.
Fonti: comunicato ISAF RCW e www.ilsole24ore.com
Foto ISaf RcWest
RedazioneVedi tutti gli articoli
La redazione di Analisi Difesa cura la selezione di notizie provenienti da agenzie, media e uffici stampa.