Hagel al Pentagono: levata di scudi in Israele
di Aldo Baquis – ANSA – All’indomani dell’annuncio del presidente Barack Obama sulla designazione di Chuck Hagel a segretario alla Difesa, Israele stenta a nascondere la sua irritazione ma prende tempo. Il governo di Benyamin Netanyahu preferisce non esprimersi, anche se e’ evidente che le posizioni relativamente ‘morbide’ di Hagel verso Iran, Hezbollah e Hamas non sono affatto gradite. Eppure un nuovo confronto esplicito con Obama appare fuori luogo. E dunque a parlare per tutti resta per ora il solo presidente della Knesset (parlamento), Reuven Rivlin, dirigente di lungo corso del Likud (destra), con toni improntati a stizza e inquietudine. Hagel interpreta a giudizio di Rivlin – compagno di partito di Netanyahu – una preoccupante linea isolazionista. Anzi il sogno di ”uno splendido isolamento” degli Stati Uniti. D’altro canto, prosegue lo stesso Rivlin, a Washington il Segretario capo del Pentagono e’ solo un membro del gabinetto, per quanto autorevole, e da solo non e’ in grado di intaccare il tradizionale asse ”strategico” fra Usa e Israele. La stampa locale rileva tuttavia che Hagel rifiuto’ di sottoscrivere un appello volto a classificare gli Hezbollah come organizzazione terroristica; che ha avuto in passato parole di insofferenza verso la lobby filo-israeliana a Washington; e che e’ stato sostenitore della possibilita’ di un dialogo con l’Iran. Con ironia, il giornale nazionalista e filo-governativo Israel ha-Yom scrive oggi che egli ”sarebbe il candidato idoneo alla carica se vivessimo in un mondo utopico”. Come a dire che Hagel e chi lo ha scelto non comprendono fino in fondo – agli occhi della destra israeliana – il duro scenario mediorientale. Proprio ieri, in una visita oltre oceano, il ministro israeliano delle Finanze, Yuval Steinitz, ha rimarcato che le sanzioni all’Iran non bastano e che occorre lanciare un preciso ”ultimatum internazionale” sul programma nucleare di Teheran. Anche se gli analisti prevedono che le relazioni militari fra i due Paesi rimarranno strette (e non a caso il ministro della difesa Ehud Barak e’ oggi in partenza per una ennesima visita a Washington), la nomina di Hagel potrebbe avere ripercussioni sulla sintonia politica di fondo fra i due Paesi: gia’ incrinata negli ultimi anni dalla freddezza dei rapporti personali fra Netanyahu e Obama; e certo non facilitata dalle irrituali forme di sostegno dell’entourage del premier israeliano alle ultime presidenziali Usa al candidato repubblicano Mitt Romney. Hagel, prevede Yediot Ahronot, resta dunque ”un incubo” per la destra israeliana, che confida di vincere le elezioni del 22 gennaio. Mentre lo spazio di manovra militare dello Stato ebraico verso l’Iran si profila ora ancor piu’ limitato. Proprio oggi Netanyahu ha voluto intanto visitare in Cisgiordania il controverso centro accademico nella citta’-colonia di Ariel, che la settimana scorsa e’ stato riconosciuto dal suo governo come un’universita’ a tutti gli effetti. Una decisione che ha sollevato polemiche anche nel mondo accademico israeliano, oltre che nella comunita’ internazionale, e che fa a pugni con i tentativi Usa di rianimare il negoziato israelo-palestinese. Dalle colline della Samaria biblica, Netanyahu ha evocato la figura del suo predecessore Menachem Begin: un altro premier che ebbe relazioni burrascose con Washington. ”Come disse Begin, a volte bisogna affermare cose ovvie. Ariel – ha esclamato fra gli applausi della platea – restera’ per sempre sotto sovranita’ israeliana”. ”Il mondo ci critica perche’ edifichiamo qua un’universita’, perche’ costruiamo rioni a Gerusalemme (est). Ma il pericolo per il mondo – ha proseguito Netanyahu – scaturisce dalle armi atomiche in Iran, dalle armi chimiche della Siria”. Parole scontate, nella retorica del premier: ma che oggi, di fronte alla nomina di Hagel, assumono un malcelato accento di sfida verso il vitale alleato americano.
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