La bomba e l’Iran
Il mondo ufficialmente esulta perché è stato raggiunto l’accordo sul nucleare iraniano. Obama irradia serenità, a Teheran si balla nelle strade e l’unico che s’infuria è Israele. La stampa a sua volta lancia i suoi osanna e acclama: la pace, la pace! Lo spettro della bomba è allontanato, gioite popoli, gioite genti.
Ma sarà vero? Le informazioni pubblicate sono assai precise. A saperle leggere, danno un quadro un po’ diverso da quanto sostenuto e, se aggiungiamo un’ombreggiatura di pragmatismo, il panorama che ne viene proprio bello non è. Partiamo dai fatti e vediamo i punti principali:
C’è un accordo sulla sospensione di oltre i due terzi dell’attuale capacità di arricchimento dell’uranio del programma di Teheran, accompagnata da 10 anni di monitoraggio.
La maggior parte delle riserve di uranio arricchito dell’Iran dovrà essere diluita (degradata a un livello di purezza inferiore all’attuale) o trasferita all’estero. L’Iran manterrà 6.104 delle attuali circa 19.000 centrifughe, si impegnerà a non arricchire l’uranio oltre il 3,67% per almeno 15 anni e a ridurre le sue attuali scorte di 10.000 chili di uranio arricchito a non più di 300 chili, arricchiti al massimo al 3,67%.
Le centrifughe in eccesso e le strutture per l’arricchimento finiranno sotto il controllo dell’AIEA e saranno utilizzate solo per fornire ricambi.
Dopo i primi 10 anni di monitoraggio, le attività di ricerca e sviluppo continueranno a essere limitate e supervisionate, con le diverse restrizioni sul programma nucleare iraniano che resteranno in vigore per 25 anni.
Se rispetterà questi vincoli, l’Iran si vedrà gradualmente alleggerire le sanzioni internazionali; se non li rispetterà, si tornerà automaticamente al pieno ristabilimento delle medesime. Passiamo ad alcune considerazioni. In primo luogo è bene sapere che, per uso civile, l’uranio basta che sia arricchito al massimo al 3 o al 4%, mentre per uso militare deve esserlo almeno al 20% e possibilmente oltre l’80%. Con 50 chilogrammi d’uranio arricchito all’85% si fa una buonissima arma nucleare, ricordiamocelo e andiamo avanti.
Ora, se la maggior parte delle riserve di uranio arricchito dell’Iran dovrà essere diluita e se poi si concede all’Iran d’arricchire l’uranio non oltre il 3,67% , viene da pensare che l’Iran abbia già arricchito l’uranio oltre il 4%, cioè l’abbia arricchito per uso militare.
Se le cose stanno così, che l’Iran si impegni o meno a non arricchire l’uranio oltre il 3,67% per almeno 15 anni non sembra avere molto senso: se io ho già le armi che mi servono, non mi importa promettere che non ne fabbricherò altre nei prossimi quindici anni. Quel che mi serve è che non me le tolgano adesso; ed è ciò che è successo.
Sono state tolte o no? La risposta potrebbe essere data dall’impegno dell’Iran a ridurre le sue scorte d’uranio arricchito da 10 tonnellate a non più di 300 chili, arricchiti al massimo al 3,67 per cento. Andrebbe bene se fossimo sicuri che tutte le scorte siano note e che tutte saranno controllate, ma possiamo esserlo? L’Iran può estrarre dalle sua miniere di Saghand e di Gachin una quantità di minerale stimata rispettivamente in 50 e 21 tonnellate all’anno. Parliamo di materiale a 533 ppm, cioè con un contenuto d’uranio dello 0,0533%, pari a 2.665 chilogrammi d’uranio all’anno nel caso di Saghand, mentre per Gachin si sa che l’ossido d‘uranio prodotto fu di una cinquantina di chilogrammi nel periodo di prova, circa dieci anni fa, ma non si sa esattamente quanto ne sia venuto in seguito, pur parlando di centinaia di chilogrammi.
Insomma, sembrerebbe che le 10 tonnellate di cui si è parlato a Losanna rappresentino il risultato di soli tre anni. D’accordo che l’arricchimento non si fa in una giornata, ma, viene da chiedersi: e il resto?
Sicuramente l’Iran ha ormai l’attrezzatura necessaria per realizzare la bomba e probabilmente è in grado di arruolare nei paesi che già la possiedono anche gli esperti in grado di utilizzarla. Il problema principale è semmai il controllo della tempistica dell’innesco che richiede non uno ma diversi esperti, però pure questo potrebbe essere un problema risolvibile.
Diventa dunque piuttosto secondario il fatto che, dopo i primi 10 anni di monitoraggio, le attività di ricerca e sviluppo continueranno a essere limitate e supervisionate, con le diverse restrizioni sul programma nucleare iraniano che resteranno in vigore per 25 anni, così come non serve a molto dire che, se rispetterà questi vincoli, l’Iran si vedrà gradualmente alleggerire il peso delle sanzioni internazionali e che Il mancato rispetto dell’accordo porterà automaticamente al ristabilimento delle sanzioni contro Teheran.
Dieci anni? Venticinque anni? L’eternità; e intanto? E intanto l’Iran si fa la bomba, se non l’ha già fatta. L’unico dubbio è quanto pesa, ma, se scende al di sotto della tonnellata, i vettori per trasportarla ci sono già e possono raggiungere Israele. Lo Shahab 3 può portare 990 chilogrammi di carico utile a 1.930 chilometri e lo Shahab 4, di cui si parla ma non si sa moltissimo, pare abbia una gittata di 2.890 chilometri, dunque abbastanza lontano da colpire Israele, visto che in linea d’aria la distanza da Tel Aviv a Teheran è di 1.590 chilometri.
E allora, se l’Iran può colpire Israele, che c’è da rallegrarsi? Forse l’Iran cambierà politica? No, perché lo stesso ministro iraniano Zarif ha sottolineato che il raggiungimento del risultato sul nucleare non comporta necessariamente una normalizzazione delle relazioni, in particolare con gli Stati Uniti: “Le nostre relazioni con gli Usa non hanno niente a che vedere con questo. Ci dividono tante differenze e nel passato abbiamo eretto una reciproca diffidenza. La mia speranza è che, con la coraggiosa implementazione di questo accordo, si possa recuperare un po’ di quella fiducia. Non ci resta che aspettare e osservare”.
Insomma, se l’Iran ha – o sta per avere – le armi e ha i vettori per lanciarle e se non ha cambiato politica né intende farlo, di che ci rallegriamo?
Tralasciamo le formali dichiarazioni di Federica Mogherini, tralasciamo le altrettanto formali congratulazioni di Ban Ki-moon secondo il quale “l’accordo contribuirà alla pace e alla stabilità in Medioriente” e soffermiamoci su due commenti. Putin “saluta il riconoscimento del diritto dell’Iran a un programma per il nucleare ad uso civile”; Obama dice che “è’ una storica intesa, preverrà la bomba nucleare. Se arriveremo a un accordo finale, gli Stati Uniti, i nostri alleati e il mondo saranno più sicuri. Se l’Iran mentirà, il mondo lo saprà”.
E, viene da chiedersi, all’Iran quanto importa d’essere scoperto a mentire?
Allora a chi importa? E se non importa, perché è stato detto? A chi conosce gli Stati Uniti la chiave di lettura delle parole di Obama è chiara. Agli abitanti d’un Paese in cui ufficialmente il massimo abominio è mentire (perché George Washington non mentì mai, specie a proposito dei ciliegi), dire che “Se l’Iran mentirà, il mondo lo saprà” significa convincere gli Americani che l’Iran sarà ricoperto di vergogna per sempre, sarà seppellito sotto la vergogna insostenibile dell’aver mentito.
Noi Europei – noti bugiardi – possiamo commentare: e sai quanto gliene importa agli Iraniani? Ma l’Americano medio – come del resto il cittadino medio di qualsiasi Paese del mondo – non ha la più pallida idea di ciò che accade al di fuori dei confini di casa, né si cura di saperlo, e istintivamente valuta ciò che accade all’estero applicando i propri parametri, per cui mentire è orribile. Perciò un presidente americano che dice: “se l’Iran mentirà il mondo lo saprà” sta dando un messaggio rivolto all’opinione pubblica interna e calibrato solo su di essa.
Come lo sconquasso della Primavera Araba è stato gabellato all’Americano medio nella forma di “Lotta per la democrazia” per far accettare come giusto “a priori” il sostegno statunitense agli insorti, senza curarsi di chi veramente fossero e di che veramente volessero, così adesso Obama comunica ai suoi elettori che ha ottenuto un grande successo di pace e che, se gli altri mentiranno (orrore e abominio), saranno additati alla vergogna perenne. Certo, la menzogna va punita, perciò se l’Iran mentirà e si farà la bomba e se sarà scoperto in tempo – tre “se” non saranno troppi ? – potrebbe essere punito. Di che si lagna dunque Israele?
Bene, forse si lagna perché in primo luogo potrebbe pensare che l’Iran sarà punito quanto lo è stata la Corea del Nord, in secondo luogo potrebbe domandarsi che vantaggio ne avrebbe se la punizione, per ipotesi, dovesse venire dopo la caduta d’un paio d’atomiche fra, diciamo, Tel Aviv e Giaffa.
Qualcuno sostiene che a Washington abbiano calcolato che servano ancora dieci o dodici mesi per vedere se l’Iran vuole la bomba o no e che per questo abbiano deciso di aspettare, preparandosi nel frattempo a un intervento armato e annunciando appositamente la nuova superbomba di cui tanto si è parlato.
Prendiamola per buona: aspettiamo, l’Iran si fa la bomba, l’America lo scopre e l’attacca con le armi convenzionali e… e se l’Iran intanto spara per primo con quelle nucleari, che succede? Ce la vediamo l’America che ingaggia una guerra nucleare? Non s’è mossa davanti all’assai meno forte Corea del Nord e si muoverebbe contro l’Iran?
E l’opinione pubblica mondiale e americana come reagirebbe? e il Presidente davanti all’opinione pubblica che farebbe?
Viene da pensare che Obama, ben sapendo che per gli Stati Uniti non ci sono pericoli perché non esistono missili iraniani in grado di varcare Mediterraneo e Atlantico, abbia tacitato l’opinione pubblica di casa e raccontato che a Losanna si è avuto un grande successo, così in America sono tutti contenti, tanto poi la spazzatura non resta sulla porta a loro.
Sono tutti contenti pure a Teheran. Il risultato del negoziato di Losanna è per l’Iran un successo totale, perché di fatto sancisce la situazione attuale, allontana lo spettro d’un intervento e non prevede alcuna reale punizione.
Mosca? A Mosca non ci si può che rallegrare per aver messo un tronco bello grosso fra i piedi degli Americani, in apparenza difendendo il diritto iraniano – e del Terzo Mondo – a un nucleare civile, ma in realtà creando un problema diplomatico di notevoli dimensioni, che, per aggirare qualsiasi veto russo al Consiglio di Sicurezza, rende necessaria una trattativa con Washington incluso, magari, un do ut des per cui si scambi l’Ucraina coll’Iran.
Resta Netanyahu, che ha detto: “Questo accordo mette a rischio la sopravvivenza di Israele”, perché “l’intesa apre la strada alla possibilità che l’Iran si doti della bomba atomica”. Poiché a nessuno – e soprattutto a Israele – piace sapere che la propria sopravvivenza è a rischio, viene da pensare che adesso può capitare di tutto e che sarebbe stato meglio un intervento diverso e più incisivo.
AP, Reuters, FARS, AFP, Abedin Taherkenareh/EPA
Ciro PaolettiVedi tutti gli articoli
Classe 1962, laureato in Scienze Politiche e per tre anni ufficiale di fanteria, è autore di 21 libri, due editi anche negli USA e in Francia, e oltre 300 tra saggi, recensioni, articoli, comunicazioni a congressi in Italia e all'estero sui temi di storia militare. E' membro ordinario di tre istituti e società in Italia e due all'estero e collabora con gli Uffici Storici degli Stati Maggiori dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica.