Terrorismo islamico: vincere dipende da noi

A ridosso dell’ultimo attentato di Parigi si rinnovano ancora una volta le manifestazioni a cavallo fra commozione e retorica che avevano seguito i precedenti  attacchi terroristici. Forse comincia però a farsi lentamente avanti la consapevolezza che la situazione attuale non sia contingente ma un vero proprio stato di guerra, che richiede un cambio di marcia e l’accettazione del prezzo di sangue che la guerra impone.

E l’accettazione anche dei danni collaterali che a un conflitto sono legati. Comincia anche ad apparire chiaro, come brillantemente esposto da Domenico Quirico, che ci si trovi contro a una strategia globale di grande respiro, lucidamente condotta in un arco di tempo misurato non sui  giorni ma sulle generazioni.

Questo conflitto si inserisce in una situazione estremamente complessa, che trae origine dal cumulo degli errori commessi negli ultimi 15 anni e non solo, dalla destabilizzazione dell’Iraq senza pensare un dopo alla sistematica distruzione del suo apparato statale e l’emarginazione dei sunniti , dal mancato controllo sull’Afghanistan dopo la sconfitta (iniziale) dei talebani, alla destabilizzazione della Libia senza chiari obiettivi strategici.

Al di là degli errori per così dire commessi sul terreno, vi è stata una evidente sbagliata gravitazione di forze nelle azioni di peacekeeping/enforcement, dove ci si è concentrati sullo sforzo iniziale, vincendo con facilità conflitti fortemente asimmetrici ma non mantenendo poi quel dispositivo, molto più oneroso, necessario per stabilizzare rapidamente i territori.

Permettere  cioè  alla popolazione di riprendere una vita normale, garantendo i servizi essenziali e il funzionamento amministrativo, facendo così capire di aver guadagnato nel cambio e impedendo il ritorno degli sconfitti.

Si è cercato di imporre, sic et simpliciter, ragionando sulla carta, il nostro modello di democrazia a paesi abissalmente lontani dalla nostra cultura e che uscivano per giunta da decenni di dittatura assoluta. Abbiamo dimenticato che in dittature di lunghissima durata i migliori o sono nell’apparato statale, o sono morti, o sono all’estero da lunghi anni con ormai scarsi legami con i loro paesi di origine.Non vi è alternativa dunque al dover necessariamente riciclare una buona parte della nomenclatura  precedente, cosa che non è stata fatta aprendo la strada al caos.

Nei nostri paesi poi non si è avuto il coraggio di dire la verità al cittadino, illudendolo sulla durata degli interventi e sul loro prevedibile prezzo, agendo di conseguenza  a livello politico e operativo in modo altalenante. Ne è scaturita in molti casi una condotta furbesca, di corto respiro, influenzata dalla scadenza delle varie lezioni e dalla paura della perdita di consenso: appoggio  alle operazioni spesso di facciata (basti pensare al comportamento di molti contingenti in Iraq, preoccupati solo di non avere perdite), mancanza di dibattito, ipocrisia nella comunicazione eccetera.

In genere una sottovalutazione dell’elettore, probabilmente molto più maturo di quanto si creda. Tutto ciò in un’Europa abituata da sempre a lasciare il lavoro sporco (e duro) agli Stati Uniti e priva delle capacità  operative per procedere in proprio.

In questo contesto non si vede ancora al momento una chiara strategia di contrasto. La consapevolezza delle proprie debolezze è però essenziale, perché è capire l’esistenza di un problema è già buona parte della soluzione.

Sono la freddezza e la logica che devono prevalere in questo momento dando luogo a una linea d’azione concreta nell’immediato ma proiettata anche nei decenni futuri. Nel presente mi sembra necessario privare  prima di tutto l’Isis, a qualsiasi prezzo, del suo territorio.

Si tratta infatti non di riconquistare aree geografiche, ma di eliminare un modello culturale pericolosissimo, che esercita una notevole attrazione in una parte in vario modo frustrata del mondo musulmano.

Va impedito prioritariamente che questo modello culturale si imponga nelle giovani generazioni delle popolazioni soggette e nelle aree degradate delle città europee evitando che  sempre nuovi combattenti si forgino nel conflitto per poi ritornare alle loro nazioni di origine.

Va altresì contrastato il lucido piano di destabilizzazione dei paesi musulmani più avanzati, dalla Tunisia alle Egitto evitando che si trasformino in ulteriori focolai di infezione. Va portato avanti con lungimiranza, senza isteria, il complesso rapporto con il mondo islamico, tenendo conto che il numero dei musulmani nei paesi europei e già molto alto e crescerà sempre di più nei prossimi decenni, sia per il più favorevole tasso di natalità che per l’inevitabile immigrazione.

È assurdo quindi pensare di poterli marginalizzare. Si tratta invece di fornire e regolarizzare luoghi di culto, che è giusto siano disponibili e altrettanto giusto che siano controllati, di investire sull’assimilazione culturale, che deve essere impostata sul nostro modo di vita, cui non dobbiamo rinunciare.

È da reprimere con decisione, senza scrupoli e in tempi brevi qualsiasi deriva estremistica, a partire raccolta fondi attraverso Onlus e strutture simili.

Dobbiamo infine prepararci allo scontro rendendone partecipe la popolazione perché siamo in grado sicuramente di pagare  il prezzo necessario”, come già è avvenuto in passato con il terrorismo interno e come già oggi siamo in grado di sopportare anche se con costo e dolore, gli oltre 6.000 morti che ogni anno lasciamo sulle strade.
Vincere o perdere dipenderà prima di tutto da noi.

Foto: EMA, Getty Images, AFP

Generale di Corpo d'Armata dell'Esercito, ha lasciato il servizio attivo alla fine del 2014. Nel corso della sua carriera ha avuto modo di maturare notevole esperienza estera in particolare quale Capo Ufficio Addestramento di COMFOTER, Comandante della scuola NBC Rieti, Capo del Terzo Reparto di Stato Maggiore Difesa, Vice Segretario Generale della Difesa/DNA, Vicecomandante di KFOR e Vicecomandante del Corpo d'Armata Multinazionale a Bagdad. Ha conseguito la laurea in Scienze Strategiche e relativo master, la laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Trieste e la laurea in Coordinamento delle attività di Protezione Civile presso l'Università di Perugia.

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