Contro l'Isis una duplice o triplice intesa?

Il lascito degli attentati  di Parigi del 13 dicembre sul piano strategico militare può essere ricapitolato come un completo mutamento degli equilibri internazionali, con l’emergere di un’ alleanza in nuce Francia -Russia e l’inserirsi di ulteriori elementi di debolezza e disgregazione europea, che si allarga fino a raggiungere una spaccatura tra Stati Uniti e il Vecchio Continente, con un affievolirsi nel discorso strategico diplomatico della nozione di Occidente e di interesse comune.

Mentre Obama, riferendosi agli ultimi negoziati diplomatici da cui l’Unione Europea era rimasta esclusa, ha affermato che la Russia è stata un “partner costruttivo a Vienna nel tentativo di creare una transizione politica” in Siria, il presidente francese François Hollande e il suo omologo russo Vladimir Putin hanno deciso di rafforzare il coordinamento tra i rispettivi servizi segreti: Putin ha ordinato alle navi da guerra russe impegnate nel Mediterraneo di entrare in “contatto diretto” con la portaerei Charles de Gaulle e di cooperare con “gli alleati francesi”.

Viene così momentaneamente messa da parte la questione della guerra in Siria, su cui russi e francesi avevano fino a pochi giorni fa visioni completamente diverse.

Il Wall Street Journal suggerisce che il nuovo allineamento tra Francia, Stati Uniti e Russia potrebbe essere l’inizio di una nuova grande coalizione. Durante l’incontro dedicato alle operazioni militari in Siria, il presidente Putin ha affermato la necessità imperativa di cooperare con la marina francese e di considerare i francesi “come alleati”.

Mentre il Re Adbullah di Giordania si è riferito a Mosca come alla chiave della soluzione politica in Siria, la Russia sembra diventare il centro della diplomazia internazionale post Vienna e post Parigi.

Se le ragioni di Putin sembrano piuttosto evidenti, ossia la volontà – peraltro manifesta già nel discorso del presidente russo tenuto all’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti alla fine di settembre in cui auspicava una grande coalizione mondiale contro il terrorismo – di uscire dall’isolamento diplomatico in cui era stato relegato sulla scena internazionale, la logica diplomatica francese sfugge alle tradizionali considerazioni di geopolitica.

Brisset, generale di brigata aerea e direttore di ricerca dell’Istituto IRIS, parla di totale incoerenza della politica francese: il rapprochement franco russo sarebbe limitato al suo effetto d’annuncio.  Insomma, una sorta di alleanza di plastica senza radici, né cuore né testa.

Forse la Francia spererebbe in un’intesa a tre: ossia che la Russia e gli Stati Uniti, le vere chiavi di volta del gioco, si riavvicinino. A parte i problemi tecnici evocati da Brisset, come l’incompatibilità dei materiali russi e francesi e le difficoltà linguistiche – dal momento che i soldati di Mosca spesso non parlano né inglese né francese – gli obiettivi politici rimangono divergenti, in primis riguardo al futuro del presidente siriano Bashar al Assad.
Secondo Bruno Tertrais, ricercatore alla Fondazione per la ricerca strategica a Parigi, quelle di Parigi nei confronti della Russia sarebbero concessioni tattiche e non strategiche.

La flessibilità dimostrata da Hollande sarebbe condizionata e avrebbe dei limiti ben precisi: nonostante il passaggio da una politica di “no a Bashar e no al Daesh” a quella di “no al Daesh” il trattamento da riservare al regime siriano resta quindi la principale difficoltà nella cooperazione tra Parigi e il Cremlino.

Sebbene la nuova alleanza porti in sé i germi delle sue stesse contraddizioni, ancora più preoccupanti sono i segni di una latente spaccatura del fronte occidentale, che rendono attualmente l’ipotesi di una duplice intesa molto più probabile rispetto ad altre soluzioni.
Da più parti ci si chiede coma mai il presidente francese non abbia ancora invocato l’articolo 5 del Trattato NATO, che assicura la mutua difesa per i suoi membri obbligando gli alleati a garantire il loro aiuto militare a un alleato sotto attacco, né tanto meno l’alleanza stessa abbia attivato la previsione.

Da un lato si potrebbe sostenere che non ce ne sia bisogno dato che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno già combattendo l’ISIS. Hollande stesso potrebbe avviare le truppe per sostenere l’applicazione dell’articolo 5; tuttavia è plausibile rimanere scettici di fronte alla probabilità di un coinvolgimento francese unilaterale. Dall’altro lato l’appello all’articolo 5 metterebbe a repentaglio, o di certo non aiuterebbe, l’emergente duplice alleanza franco- russa.

Secondo Adam Chapnick, Professore di studi strategici al Royal Military College of Canada, semplicemente non potrebbe portare a nulla di buono per la Russia, né per la NATO stessa: servirebbe solamente ad alienare la Russia e a creare discordia tra gli stati membri dell’Alleanza rispetto alle soluzioni da adottare nei confronti dell’ISIS e anche nei confronti del regime siriano.

Inoltre il ricorso all’art. 5 potrebbe rendere più difficoltosi gli sforzi per coinvolgere altri attori dello scacchiere internazionale, come i Paesi asiatici. Fonti ufficiali affermano che personale militare cinese dovrebbe arrivare in Siria per combattere a fianco dei russi il terrorismo.

Secondo il Jerusalem Post, la “mancanza di una dichiarazione di guerra” riflette quelle che vengono eufemisticamente definite le posizioni caute di politica estera dell’Unione Europea. Sebbene dal punto di vista formale l’Europa sia uscita momentaneamente dal torpore attivando – con decisione presa all’unanimità dai ministri della difesa a Bruxelles e su richiesta formale di Jean Yves Le Drain sulla base dell’Articolo 42.7 del trattato di Lisbona – per la prima volta la clausola di difesa collettiva, il meccanismo non rimpiazza né è lontanamente assimilabile a quello previsto dall’Articolo 5 del trattato NATO.

Come spiega Marta Dassù, Direttore di Aspenia online, al di là della solidarietà non seguiranno conseguenze militari cogenti. L’Unione Europea non ha ancora sviluppato una hard policy in materia di politica estera e di sicurezza comune.

Già prima degli attacchi di Parigi il dottor Germano Dottori, docente di studi strategici alla LUISS, affermava l’esistenza di una “politica americana che mira ad allentare la coesione interna dell’Unione europea”.
Immediatamente dopo gli attentati, Obama ha enfatizzato i legami tra la Francia e gli Stati Uniti e, definendo la Francia come l’alleato più antico, ha offerto assistenza al governo e al popolo francese. Tuttavia, a Washington il desiderio di nuove avventure militari è minimo e ciò aiuta anche a spiegare la politica confusa nei confronti dell’ISIS.

Secondo il professor Fabrizio Tonello, che cita un fascicolo del Foreign Affairs apparso nel 2014, i politici americani hanno tratto una solida lezione dalle esperienze di Afghanistan e Iraq: non inviare più truppe sul campo. Forse è questo il motivo per cui nelle parole irreprensibili ma caute di Obama è totalmente assente il riferimento all’Occidente, ad una casa comune diplomatico-strategico culturale.

Se le circostanze sono molto diverse da quelle che avevano richiesto il riferimento alla “casa del vicino che sta bruciando” durante la seconda guerra mondiale, Hollande nel discorso alla nazione ha pur chiaramente parlato di guerra. In una prospettiva di lungo termine la Russia è sicuramente un competitore degli Stati Uniti, ma lo è ancora di più l’Europa. E se Putin non ha scadenze che mettano in discussione la sua permanenza al potere di qui a qualche anno, come il presidente Obama che è oramai all’ultimo anno della sua permanenza alla Casa bianca.

Gli avvenimenti di Parigi da un lato sanciscono definitivamente la spaccatura tra Europa e Stati Uniti, già consumatasi a inizio anno con il viaggio improvviso e segreto di Hollande e Merkel scatenato dalla decisione degli Stati Uniti di voler fornire le armi all’Ucraina.

Mentre la Russia – attraverso il presidente della commissione esteri del Consiglio della Federazione, Konstantin Kosachev- ha ribadito la sua intenzione di proseguire la cooperazione con i servizi segreti europei senza restrizioni e condizioni, viene in rilievo la mancata cooperazione e condivisione delle informazioni tra i servizi di intelligence europei.
Il difetto non solo di un approccio comune nell’uso dei dati ma anche nello scambio di informazioni certe riguardo spostamenti di terroristi tra due dei paesi fondatori dell’attuale Unione Europea quali Belgio e Francia appare una falla che emerge come un ulteriore ed imperdonabile fattore di disgregazione e disintegrazione europea.

E se gli Stati Uniti hanno concluso un accordo con la Francia su uno scambio rafforzato di informazioni in campo militare e di intelligence (appena) all’indomani delle stragi, quel che è sicuro è che dal punto di vista strategico diplomatico l’eredità di Parigi rivela la mancata convergenza e integrazione militare, sia a livello di Unione Europea che di Occidente, nonché la mancata convergenza e integrazione della politica estera e la mancata convergenza investigativa e di intelligence.

 

Foto AFP, Sputnik, EMA, Ansa, Marine Nationale, Aeronautica russa, Novosti, Reuters

Classe 1983, Master in Relazioni Internazionali e Dottorato di Ricerca in Transborder Policies IUIES, ha maturato una rilevante esperienza presso varie organizzazioni occupandosi di protezione internazionale delle minoranze, politica estera della UE e sicurezza internazionale. Assistente alla cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali e Politica Internazionale presso l'Università di Trieste, ricercatrice post-dottorato presso il Centro di Studi Europei presso l'Università Svizzera di Friburgo, e junior member presso la Divisione Politica Europea di Vicinato al Servizio Europeo per l'Azione Esterna. Lavora attualmente presso Small Arms Survey a Ginevra come Ricercatrice Associata.

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