L’ammodernamento delle Forze Armate Turche
Non so come si traduca in turco: “Si stava meglio quando si stava peggio”. Di certo, tra i vertici politico-militari di Ankara qualche rimpianto per l’epoca della Guerra Fredda non deve mancare. A quei tempi si filava lungo valori sicuri: si trattava di contribuire a difendere il fianco meridionale della NATO contro attacchi simmetrici da parte di forze corazzate e meccanizzate, con pesante appoggio aereo tattico, e fronteggiare eventuali minacce navali contro gli stretti dei Dardanelli. Per farlo Ankara aveva messo in piedi un apparato militare robusto, bene addestrato e con ottime tradizioni, anche se carente in equipaggiamenti moderni, almeno sino all’avvio di un primo programma di ammodernamento alimentato negli anni ’80 dal connubio tra la stabilità imposta col golpe del 1980 dai generali (custodi della nazione e della laicità dello stato, nella filosofia politica creata negli anni ’20 da Kemal Ataturk), e la crescita economica del paese, inglobante l’avvio di un processo di modernizzazione anche dell’industria bellica locale.
Un apparato, non va dimenticato, che era anche stato testato con successo in operazioni di guerra in Corea negli anni ’50 e a Cipro nel 1974, anche se meno preparato ad affrontare minacce asimmetriche (si pensi alla guerriglia curda del PKK, scatenatasi lungo gli orograficamente tormentati confini con Siria e Iraq a partire dal 1984).
Oggi è proprio una molteplice scacchiera di minacce asimmetriche e tradizionali, quella su cui i militari e i politici turchi debbono muovere le loro pedine, con la necessità di tenerle allo “stato dell’arte”. A sud-est nel 2007 è ripresa su vasta scala la guerriglia del PKK, dopo una tregua durata un decennio. A sud, la guerra civile siriana ha dapprima lambito e poi attraversato una frontiera già calda negli anni ’70 e ’80, tanto da far temere sin dal maggio 2012 un intervento militare di Ankara nel conflitto (senza contare che il regime di Damasco ha fomentato l’attività insurrezionale curda in Turchia, ospitando basi e guerriglieri, quale rappresaglia per l’appoggio turco ai ribelli siriani). E se la Turchia ha fatto il suo dovere, tra i ranghi della NATO, nelle crisi irachene scoppiate sin dal 1990 e dopo l’11 settembre 2001, Ankara guarda sempre di più ai propri interessi economici e geopolitici, che accarezzano la creazione di un’area di influenza che abbraccia parte del vecchio Impero Ottomano, dall’Egitto al Medio Oriente, con contatti sino al Golfo Persico e al sudest asiatico; con le variabili legate al peggioramento dei rapporti con Israele, dopo un lungo periodo di alleanza de facto proprio sul piano militare, e al confronto con l’Iran, che si sviluppa a metà tra lo sforzo di mediazione e la cordiale rivalità geostrategica. Per quanto riguarda la vecchia conflittualità turco-greca, alle crisi susseguitesi tra gli anni ’50 e ’90, e alla distensione “sismica” avviata nel 1999 dopo i devastanti terremoti che avevano colpito i due vecchi nemici, ha fatto seguito la crisi economica greca, che dal 2008 ha eliminato – e per parecchio – Atene dalla gara al riarmo che la opponeva ad Ankara.
Un quadro al cui interno si inserisce in maniera prorompente la necessità di ammodernare e potenziare costantemente le Forze Armate turche che, nonostante i cambiamenti politici dell’ultimo decennio – dominati dalla crescente forza di un partito islamico moderato, quell’AKP che tanto assomiglia ad una sorta di DC turca – mantengono un ruolo centrale nella stanza dei bottoni.
D’altra parte, come accennato sin dagli anni ’80 anche l’industria militare turca è stata stimolata dalla crescita economica nazionale, essendone anzi una delle componenti di punta sul piano tecnologico, con un ruolo sempre più importante anche sul piano dell’export (e agganciandosi alla crescente influenza politica nelle regioni più sensibili per le mire di Ankara). Il grande piano di modernizzazione del 1997 da 160 miliardi di dollari (in parte rivisto dopo il catastrofico sisma del 1999), ha fatto il resto, preparando il terreno all’attuale programma Forze 2014.
Dopo averli prodotti su licenza, oggi il polo industrial militare progetta (o co-progetta, si pensi al “Mangusta” in versione italo-turca) e sforna in proprio circa la metà dei sistemi richiesti dalle proprie Forze Armate, dalle fregate leggere ai carri armati, dai sistemi elettronici ai sensori, dalle armi leggere ai blindati, pur restando in posizione più subordinata in materia di aerei da combattimento, sottomarini, sistemi d’arma avanzati e complessi.
Giuliano Da Fre'Vedi tutti gli articoli
Monzese, classe 1969, laureato in scienze politiche, giornalista pubblicista, già cronista del settimanale Il Giornale di Monza, dal 2007 lavora per il bisettimanale Il Cittadino. Dal 1996 collabora con varie testate del settore militare. Ha pubblicato due e-book (Kriegsmarine e Lampi ad Oriente) e alcune brevi monografie. Nel 2009 ha collaborato alla stesura del saggio Storia della Provincia di Monza e Brianza. Sono di prossima pubblicazione un saggio sulla storia navale dell'America Latina dall'indipendenza al 1914, e una monografia dedicata alla Guerra della Triplice Alleanza del 1864-1870.