Terrorismo: il rischio radiologico
L’impiego di armi chimiche da parte dell’ISIS/Daesh in territorio iracheno e siriano ha dimostrato la disponibilità di aggressivi negli arsenali dei terroristi e la volontà/capacità di utilizzarli.
D’altra parte lo studio Beatrix per il Parlamento di Strasburgo ripreso poi dal capo della C.I.A. John Brennan, l’intervento del presidente Obama sul possibile terrorismo radiologico (bomba sporca) se non addirittura nucleare hanno evidenziato i timori occidentali verso un’escalation in campo NBCR (nucleare, biologico, chimico, radiologico) delle azioni terroristiche nel nostro continente.
Se vogliamo, il pedinamento da parte degli uomini dell’Isis di un dirigente della centrale nucleare belga di Dol potrebbe essere già considerato un passo in questa direzione. Tale sviluppo in effetti avrebbe una sua logica.
È innegabile che una società mediatica subisca una rapida assuefazione a fenomeni anche eclatanti: basti pensare al ben diverso impatto sull’opinione pubblica dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo rispetto ai recenti attentati in Bruxelles. Come nel campo pubblicitario è necessario pertanto per l’aggressore alzare continuamente la soglia per mantenere un livello di attenzione costante.
Tanto più se si considera l’attuale crisi dello o Stato Islamico, che spinge sicuramente i terroristi a reagire in maniera forte. Del resto è innegabile che la minaccia NBCR si presti adeguatamente allo scopo. Il mistero cupo che la avvolge, la sua lontananza dalle esperienze comuni, il fatto che si sia raramente concretizzata negli ultimi decenni e l’obiettiva difficoltà di reazione le garantiscono il clamore mediatico che in passato ha già contraddistinto questi episodi (si pensi a tal proposito alla minaccia antrace negli USA dopo l’11 settembre).
Queste caratteristiche fanno sì che l’attentato NBCR assicuri, anche aldilà dei danni effettivi arrecati, un ritorno di eccezionale validità costo/efficacia.
Esaminate dal punto di vista dell’aggressore le possibilità non sono poche, come d’altra parte però le difficoltà di attuazione e di preparazione occulta, sicuramente meno facili rispetto a quelle di un attentato convenzionale. Per quanto riguarda il settore nucleare/radiologico mi sentirei quantomeno di minimizzare la minaccia nucleare.
Escludendo di massima l’acquisizione di un’arma nucleare, forse meno difficile ai tempi del disfacimento dell’Unione Sovietica, rimane la possibilità di un attacco/sabotaggio alle centrali nucleari.
Vista però la loro struttura, già pensata per resistere a vere catastrofi, le misure di sicurezza esistenti, il numero esiguo di tali impianti, e da ritenere che loro vulnerabilità possa essere considerata molto bassa.
Ciò considerando anche che il livello di attenzione senza dubbio è cresciuto e che il controllo del personale chiave sicuramente è già in atto. Inoltre i terroristi da impiegare con successo in un tale tipo di attività non sarebbero molti, dovendo possedere un know how e una specializzazione nel settore non comuni da trovare ma proprio per questo più facilmente tracciabili. Il discorso si fa diverso per il pericolo radiologico derivante dall’uso criminale di scorie radioattive.
Purtroppo il controllo in questo caso è molto più difficile e aleatorio. Il nostro mondo infatti utilizza estesamente la radioattività in svariati campi, dalla medicina alla metallurgia, con un’ampia diffusione sul territorio dei materiali radioattivi altamente pericolosi (cobalto, ad esempio) e delle relative scorie.
In questo caso non è pensabile l’attuazione di attentati con effetti devastanti dal punto di vista umano, ma certamente sotto l’aspetto psicologico sì.
A tal proposito è da ricordare quanto avvenuto in Brasile nei primi anni 80, anche se per incidente a seguito di furto e non per attentato. Due commercianti di rottami rubarono una fonte di cesio 137 per le esigenze ospedaliere, la ruppero e la sparpagliarono. La contaminazione fu scoperta solo dopo 15 giorni.
Furono colpiti sicuramente 249 individui, di cui quattro morirono e 14 svilupparono un profonda depressione. Fu necessario sottoporre a controllo ben 112.000 persone.
Per similitudine quindi l’acquisizione di scorie, la loro dispersione nell’ambiente, l’annuncio relativo fatto dopo un periodo di possibile contaminazione potrebbe anche non comportare molte vittime ma creerebbe come già accennato, una vasta ondata di panico, costringerebbe a screening su larga scala con esiti forti nei media e inoltre l’aumento di tumori stocastico legato all’assorbimento di radiazioni trascinerebbe il sentimento di paura nel tempo.
La risposta o meglio la prevenzione è riposta in un accurato monitoraggio delle fonti attive e del loro smaltimento, possibilmente accentrato, nella sorveglianza del personale in grado di accedere ai materiali, nel controllo delle frontiere terrestri e marittime e nella verifica periodica della possibile contaminazione di luoghi o trasporti di massa
È ovvio come tutto ciò presupponga un’ampia disponibilità di dotazioni tecniche e di personale specializzato, nonché un sensibilità alla minaccia costante nel tempo, tutte condizioni non facili da assicurare in maniera adeguata.
In sintesi il pericolo di un attentato su base nucleare/radiologica appare focalizzato più sul radiologico che sul nucleare, con un potenziale basso dal punto di vista delle perdite umane arrecate ma molto alto riguardo il terrore che potrebbe causare.
Per quanto riguarda gli attentati con aggressivi chimici e biologici essi hanno caratteristiche in parte similari e in parte peculiari che meritano una trattazione a parte.
Foto: Difesa.it, Vigili del Fuoco, AP, Cibernaua
Mario MarioliVedi tutti gli articoli
Generale di Corpo d'Armata dell'Esercito, ha lasciato il servizio attivo alla fine del 2014. Nel corso della sua carriera ha avuto modo di maturare notevole esperienza estera in particolare quale Capo Ufficio Addestramento di COMFOTER, Comandante della scuola NBC Rieti, Capo del Terzo Reparto di Stato Maggiore Difesa, Vice Segretario Generale della Difesa/DNA, Vicecomandante di KFOR e Vicecomandante del Corpo d'Armata Multinazionale a Bagdad. Ha conseguito la laurea in Scienze Strategiche e relativo master, la laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Trieste e la laurea in Coordinamento delle attività di Protezione Civile presso l'Università di Perugia.