L’F-35 è una fregatura. Parola di “talebano”

La confusione attorno all’acquisto di 90 aerei da attacco stealth Lockheed Martin F-35 “Lightning II” aumenta di giorno in giorno. Come nella Torre di Babele, militari, industriali, politici e giornalisti affrontano la questione parlando ciascuno lingue incomprensibili agli altri. Le lobby pro e contro fanno gli straordinari, le istituzioni annaspano, si scavalcano. Forte di una legge che gli restituisce sovranità in materia di armamenti ma pare non la facoltà di veto su “decisoni tecniche e operative che spettano invece all’esecutivo”, il Parlamento apre un’indagine conoscitiva per sapere che cosa stia combinando il Governo, ma prima ancora per capire, poveretto, di che cosa esattamente si stia parlando. Le informazioni che circolano sull’aereo e sulla nostra adesione al programma sono sommarie, incomplete, ma qualcuno nei piani altissimi di Palazzo Aeronautica tempo fa non trovò di meglio che dichiarare a un’agenzia settimanale di informazione aerospaziale che “dell’F-35 si è parlato e si continua a parlare anche troppo”. Non è chiaro, o quantomeno al cittadino paga-tasse non è dato di capire esattamente quanto valgano le disposizioni in atto, gli accordi già presi con gli Americani, i contratti firmati. La marcia indietro si può mettere, ma sai che “grattate”. Intanto, per dirla col Principe Antonio De Curtis, con le prime previste rate per i primi sei F-35A regolarmente onorate, “io pago, io paaago”. Quell’io si riferisce proprio a chi scrive, che non ama esprimersi in prima persona ma questa volta farà un’eccezione.

Scrivo sull’F-35 da otto anni, cercando di sbrogliare una matassa come non ne ho mai viste in oltre quarant’anni di frequentazione del mondo aeronautico. Il padre di tutti i programmi militari è anche il più complesso, intricato e problematico procurement che la nostra Difesa abbia mai affrontato. Non mi interesso di asili nido, non capisco l’ideologia pacifista neppure quando è disinteressata, capisco un po’ di aeroplani, e guardo stralunato chi sostiene che non dovremmo sostituire un giorno i nostri 140 aerei d’attacco. Mi interessa, di quella montagna di complicazioni e implicazioni che è il Joint Strike Fighter, afferrare il senso, l’utilità, le promesse ma ancora prima la percorribilità pratica delle innovazioni tecnologiche che ne farebbero l’aereo da combattimento che non ti puoi permettere di non comperare, e che devi difendere con le unghie, anche a costo di raccontare al Paese una storia oggettivamente addomesticata. I conti hanno cominciato a non tornarmi molto presto, ma ho continuato a cercare di capire, indagare, verificare, approfondire. Qualche conclusione l’ho tratta, ed è nei miei articoli.

Adesso qualcuno comincia a darmi del “talebano”. Sono il “talebano dell’F-35”. Ogni volta che esce un mio articolo su questa testata, apriti cielo, eccolo di nuovo “il talebano”, quello che “ce l’ha su per partito preso”. Lo giuro, non ho mai frequentato madrasse, le mie fedi sono altre. Semmai ho cercato come tutti di frequentare il buon giornalismo, che quando è specializzato ti mette una spina nel fianco in più. I fatti, mi interessano soprattutto quelli; e non è retorica. Quelli dell’F-35 restano in buona parte indecifrabili, fra continui dubbi e contraddizioni che fanno temere la fregatura finale. La materia è tecnica, ma dietro e a fianco della tecnica ci sono presupposti e risvolti politici, industriali, geostrategici. Se scopro che uno più uno non fa due, cerco di andare a fondo, ma senza abiti o preconcetti ideologici. Ho fatto non poche “scoperte” sul conto del Joint Strike Fighter, esplorando soprattutto il panorama militare-industriale del nostro Paese. Spero che abbiano contribuito a fare un po’ di luce. I talebani cercateli da un’altra parte.

 

Vignetta di Alberto scafella

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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