I MISSILI TERRA-ARIA ITALIANI AL CONFINE SIRIANO
L’Esercito italiano ha schierato una batteria di missili terra aria SAMP/T in Turchia, nell’ambito dell’impegno assunto dalla Nato per rispondere alla richiesta di aiuto di Ankara per la protezione del suo spazio aereo dal rischio di sconfinamenti provenienti dalla Siria.
La notizia era attesa da tempo ed era stata anticipata il mese scorso da Analisi Difesa. In realtà la missione degli uomini e dei missili MBDA Aster 30
era nell’aria già da tempo e negli ultimi tre anni sono state inviate nel sud della Turchia batterie di missili Patriot statunitensi, tedeschi, olandesi e spagnoli.
Il 18 maggio scorso, in un articolo dedicato al rinnovo delle missioni italiane oltremare, evidenziammo l’imminente partenza della batteria missilistica del 4° reggimento artiglieria contraerea “Peschiera”, non ancora annunciata ma deducibile dallo stanziamento di 7 milioni di euro per la partecipazione italiana all’operazione NATO “Active Fence”.
Le conferme dell’arrivo in Turchia dei militari e dei mezzi dell’Esercito Italiano sono state fornite dalla stampa turca e dall’agenzia di Stato Anadolu che il 7 giugno hanno pubblicato le foto della colonna militare (una decina di autocarri) sbarcata nel porto di Iskenderun e diretta nella zona di Kahramanras nei pressi del confine siriano.
Il giornale Daily Sabah ha riferito del dispiegamento del “sistema di difesa aerea avanzato italiano per combattere lo Stato Islamico” che però notoriamente non dispone né di velivoli né di missili balistici. Lo tesso giornale riportò inoltre la presenza di 25 militari italiani, numero che appare molto limitato ma che indicherebbe come logistica e sicurezza del contingente siano garantiti dalle forze turche.
Come ha sottolineato Guido Olimpio sul Corriere della Sera “per i media locali l’Italia ha inviato un apparato che può contrastare aerei, missili da crociera e tattici. Una minaccia potenziale che può arrivare da russi o siriani”.
La nuova missione militare italiana, oltre alle implicazioni legate al conflitto siriano, non può non venire contestualizzata nella crescenti tensioni tra NATO e Russia.
La batteria missilistuica è infatti schierata a due passi da un’area conflittuale complessa dove le truppe turche colpiscono in Siria le milizie dello Stato Islamico e quelle curde, sostengono altre milizie islamiste come quelle di al-Qaeda (Fronte al-Nusra) e combattono sul territorio turco e in Iraq le forze curde del PKK.
Lo stesso territorio turco viene colpito da attentati e attacchi condotti dall’Isis e dal PKK mentre nei cieli lungo il confine operano gli aerei statunitensi, della Coalizione e quelli delle forze siriane e russe: queste ultime inoltre schierano a Latakya batterie di missili terra –aria a lungo raggio S-400 che di fatto inibiscono le operazioni dei caccia di Ankara nello spazio aereo di frontiera.
Anche alla luce di queste valutazioni stupisce l’assenza di un dibattito politico in Italia circa l’opportunità o meno di inviare nostre truppe e mezzi in quell’area con un compito che rischia di coinvolgerci nel confronto in atto tra Ankara e l’asse Damasco/Mosca, specie dopo l’abbattimento da parte di un F-16 turco di un Sukhoi 24 russo del 24 novembre scorso, episodio che rappresenta il più eclatante tentativo della Turchia di coinvolgere la Nato nel conflitto siriano e nel braccio di ferro con Mosca.
Il governo italiano ha mantenuto un basso profilo anche su questa missione senza annunciare la partenza della batteria missilistica fino al 7 giugno, quando i ministri Roberta Pinotti (nella foto a sinistra) e Paolo Gentiloni hanno comunicato la partecipazione delle forze italiane all’operazione “Active Fence” alle commissioni Esteri e Difesa, senza che nessun domanda o richiesta di chiarimenti sia stata posta dai (pochi) parlamentari presenti.
Eppure le perplessità su questa missione non mancano di certo. La missione Nato di supporto al controllo dello spazio aereo turco ai confini siriani include anche la presenza di velivoli radar Awacs ma, come sottolinea Gianluca De Feo su Repubblica, “le regole di ingaggio per l’impiego dei missili italiani sono top secret”.
Come è normale che siano: la catena di comando e controllo di “Active Fence” è Nato ma non è chiaro chi deciderebbe un eventuale lancio di missili italiani contro aerei siriani o russi che dovessero sconfinare in Turchia, né se Roma abbia posto “caveat” nazionali che condizionino il comando alleato nell’impiego dei missili italiani.
Difficile non notare che dopo l’abbattimento del bombardiere russo tutti i partner NATO hanno ritirato le loro batterie di missili terra-aria (presenti dal 2013) dal sud della Turchia mentre gli italiani si schierano in quella polveriera nel momento più critico col rischio di coinvolgimento diretto in uno scontro con la Russia in un momento in cui diversi alleati (statunitensi in testa) sembrano voler soffiare sul fuoco di una nuova guerra fredda.
Quali contropartite ha chiesto (ammesso che ne abbia chieste) e ottenuto l’Italia per schierare truppe e mezzi lungo il confine più caldo del pianeta?
In fondo è la stessa domanda che ci ponemmo poche settimane or sono in occasione dello schieramento (anch’esso poco pubblicizzato) dei primi bersaglieri del contingente del 6° reggimento presso la Diga di Mosul, in Iraq, a pochi chilometri dalle linee dello Stato Islamico.
Sul piano strategico varrebbe la pena discutere il senso di una missione a tutela della Turchia, nominalmente nostro alleato nella NATO ma la cui politica interventista nel conflitto siriano ha danneggiato l’Italia e l’Europa favorendo le forze jihadiste e speculando brutalmente sui flussi di profughi e immigrati clandestini.
Insomma, siamo davvero convinti che i turchi siano nostri “amici” e russi e siriani “nemici” oppure questa missione rappresenta l’ennesimo obolo pagato agli statunitensi?
Resta invece fuori discussione l’importanza operativa e industriale di schierare per la prima volta in un contesto reale il SAMP/T realizzato dal consorzio italo-francese Eurosam (MBDA e Thales), sia in termini di esperienza del personale militare e di valutazione sul campo del sistema sia per favorirne l’export anche in vista dello sviluppo della versione aggiornata Block 1NT (Nuova Tecnologia) con spiccate capacità contro i missili balistici a medio raggio.
Proprio i turchi sembravano voler acquisire il sistema SAMP/T nell’ambito del programma T-Loramids poi cancellato perché Ankara preferisce cercare partner internazionali per sviluppare un sistema nazionale antimissile.
Foto: MBDA, NATO, US DoD, Difesa.it e Corriere.it
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane" e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.