La guerriglia futura sarà urbana: parola di David Kilcullen
di Vittorio Da Rold da Il Sole 24 Ore
I conflitti del futuro si svolgeranno nelle realtà urbane e non più in realtà rurali o sui monti deserti come quelli di Tora Bora in Afghanistan o della Sierra Maestra cubana. Le rivolte passeranno da piazza Tahrir al Cairo, come è avvenuto per le Primavere arabe, alle povere periferie di Rio de Janeiro in Brasile, agli slums di Lagos in Nigeria, a Bengasi in Libia, cioè nelle città più popolose del paese sotto scacco. «Un modello terzomondista di rivolta che verrà esportato presto in Occidente», spiega David Kilcullen (nella foto), il “guru” dell’intelligence americana in visita a Roma dove il 21 novembre alle 17 presso il Centro Studi Americani in via Michelangelo Caetani 32 (Palazzo Mattei) , in collaborazione con la Nato Defence College Foundation, presenterà il suo ultimo libro intitolato “Out of the mountains: the coming age of urban guerrilla”, “Fuori dalle montagne: l’avvento dell’età della guerriglia urbana”.
David Kilcullen, è stato alto consulente per le attività controinsurrezionali del generale americano David Petraeus in Irak nel 2007-2008, Chief Strategist dell’ufficio di coordinamento dell’antiterrorismo del Dipartimento di Stato nel 2005-2006, nonché autore di The Accidental Guerrilla (2009) e Counterinsurgency (2010). Attualmente dirige Cearus Associates, società di consulenza strategica di Washington. Il suo ultimo libro è un rovesciamento copernicano della lotta alla guerriglia: «le minacce verranno dalle mega-città costiere dove si troverà il 75% della popolazione mondiale entro il 2050», non dalle aree montagnose e remote.
Quattro sono i trend che bisogna tenere presente: l’aumento della popolazione mondiale (saremo 9,1 miliardi nel 2050), l’urbanizzazione, la maggiore interconnettività tra la stessa popolazione urbanizzata e la creazione di metropoli litoranee, cioè dislocate lungo la costa, come la grande New York City-Newark negli Stati Uniti, Tokio in Giappone, Karachi in India, Dacca in Bangla Desh, Rio de Janeiro in Brasile.
«E’ finito il pericolo di gruppi terroristici che si nascondono sulla Sierra Madre, come fece Fidel Castro, che partono dalle mantagne per poi conquistare la capitale. Ora le minacce alla sicurezza verranno da periferie estese, interconnesse e di difficile controllo». Guardiamo al caso siriano: «Le prime rivolte sono state isolate e facilmente represse dal regime, come avvenne nel caso di Homs. Poi ci furono 16 città che si ribellarono contemporaneamente aprendo così un fronte molto ampio».
Nel caso delle rivolte arabe si è potuto notare, ad esempio in Egitto, un uso massiccio dei social media, di occupazione di zone centrali dell’area urbana come piazza Tahrir, la funzione di tifosi di squadre di calcio, divenuti, in alcuni episodi, elementi di rivolte sociali.
La sua teoria si chiama «del controllo competitivo», per cui la popolazione richiede stabilità e lo Stato deve essere in grado di fornirla sfidando l’offerta “concorrenziale” di quella di altri gruppi politici, terroristici come al-Qaeda o di gang delinquenziali come in Giamaica, che lo sfidano. Quando un’organizzazione, statale o non, riesce a fornire un’alternativa alla domanda di stabilità e sicurezza, questo è il momento dove il rovesciamento degli equilibri di forza è possibile.
In questo contesto non serve mettere un poliziotto ad ogni angolo della strada di queste immense periferie o dispiegare l’esercito: la risposta non può che essere anche politica, fornendo risposte economiche al disagio della popolazione, quali elettricità, acqua potabile, istruzione e occupazione. «Bisogna fare quello che i corpi di spedizione italiani – tra cui ricordo con particolare stima la Folgore e l’arma dei carabinieri – in Afghanistan o in Iraq hanno fatto molto bene: cooperare con la popolazione locale e guadagnarne l’appoggio mostrandosi aperti, correndo anche il rischio di subire attentati come quello di Nassirya».
Quanto ai futuri scenari di intervento italiani, Kilcullen pensa che l’Italia abbia un ruolo chiave nel Mediterraneo, dove in alcuni paesi come la Libia, l’Egitto, la Tunisia, Somalia, siete molto popolari e avete una forte influenza anche economica grazie alle vostre dinamiche Pmi. «Le imprese italiane devono trovare nuovi fronti di sbocco per il loro export nell’area nord-africana rispetto a una situazione di stagnazione economica dell’eurozona, un’area dove avete un forte reputazione e che rappresenta una grande opportunità prima che venga occupata dai cinesi o dagli iraniani». Infine Kilcullen invita a prepararsi adeguatamente a grandi eventi come i Campionati mondiali di calcio o alle prossime Olimpiadi che si terranno in Brasile perché potrebbero trasformarsi in momenti di tensione sociale trasmesse sotto gli occhi dei mass media internazionali venuti per coprire la manifestazione sportiva e poi spinti a occuparsi delle proteste. Una sfida, anche questa, al controllo competitivo.
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