La velocità sta tornando un'arma per le navi militari?
Alcuni ammiragli degli anni ’20 dello scorso secolo erano fortemente convinti che la velocità fosse una caratteristica importantissima per una nave militare e che potesse essere considerata di per se “un’arma”. Nacquero così costosissimi incrociatori ed elegantissime siluranti che alle prove di macchine sfruttando i più spinti apparati motori con turbine a vapore superarono la fatidica soglia dei 40 nodi. Con il passare degli anni e con l’esperienza bellica questa mania per l’altissima velocità, raggiunta al prezzo di scarsa protezione degli scafi, sembrò tramontata almeno per le navi più grosse, lasciando alle motocannoniere di vario genere il compito di rappresentare i velocisti delle flotte.
L’uso delle turbine a gas di provenienza aeronautica permise però già alla fine degli anni ’60 di installare a bordo delle nuove unità apparati motori non troppo voluminosi e di potenza considerevole e quindi la voglia di velocità si fece nuovamente sentire negli Stati Maggiori. Ma perché questa caratteristica era così apprezzata? Si diceva giustamente che un nave molto veloce poteva accettare o rifiutare il combattimento, presentarsi improvvisa sulla scena d’azione, rendere più complessa la punteria dell’artiglieria avversaria e difendersi meglio dall’offesa aerea. Alla prova dei fatti con il progresso continuo della tecnologia tutte queste caratteristiche tattiche di un mezzo navale molto veloce si rivelarono ancora una volta molto costose rispetto ai risultati richiesti. La prova forse più significativa fu data negli anni ’70 dall’entrata in servizio degli “aliscafi”, che pur raggiungendo la ragguardevole velocità dei 50 nodi non si differenziavano troppo dalle motocannoniere convenzionali per modalità e risultati d’impiego. Le autonomie piuttosto basse e la complessità delle loro attrezzature per il controllo del cosiddetto sostentamento alare han fatto si che queste pur affascinanti unità siano in un ventennio uscite dagli inventari delle maggiori Marine.
Oggi però sembra tornare il requisito dell’alta velocità, oltre i 35 nodi, per alcuni tipi di unità. Logicamente lo sviluppo delle unità sottili veloci non ha mai abbandonato per le esigenze già indicate la ricerca di velocità spinte adottando spesso anziché le eliche con i loro noiosi problemi di cavitazione i più semplici e funzionali “idrogetti”. Due moderni esempi di moto missilistiche in entrata in servizio ci vengono dalla Marina della Repubblica Popolare Cinese con le unità Type 022 o Houbei (2a e 4a immagine) e dalla Marina Egiziana con le Ambassador mk III o Ezzat (3a e 5a immagine). Le prime che sono state costruite in oltre 80 esemplari hanno una velocità massima di almeno 36 nodi raggiunta con quattro idrogetti mossi da motori diesel di alta potenza, le seconde previste in una mezza dozzina di esemplari dovrebbero raggiungere i 41 nodi con propulsione convenzionale con eliche classiche. L’armamento di questi mezzi è quello tipico delle fast patrol boats : missili antinave e artiglierie di piccolo calibro.
La Marina degli Stati Uniti ha però resuscitato la voglia di velocità per motivazioni differenti e per navi di ben più grandi dimensioni. Il primo modello è la molto discussa Littoral Combat Ship (LCS) oramai in servizio in oltre 15 esemplari nelle due versioni, una a scafo semi planante e l’altra a scafo a trimarano, dislocamento sulle 3.000 tonnellate ed armamento modificabile con l’imbarco di attrezzature containerizzate. Si tratta di grosse unità che hanno dimostrato di poter raggiungere velocità di oltre 45 nodi spinte da idrogetti mossi da turbine a gas e da diesel veloci (CODAG) ed autonomie di 3500-4000 miglia. I costi sono molto elevati ed ad oggi non si sa se la Navy si doterà realmente delle oltre 50 unità pianificate. La ratio operativa è quella di avere delle piattaforme che per la loro alta velocità possano trasferirsi rapidamente sui litorali dei possibili avversari e per le loro caratteristiche esercitarvi un elevato grado di sea control potendosi ben difendere in funzione del loro armamento convertibile dalle varie minacce presenti nelle cosiddette acque ristrette (missili terra-mare, mine, artiglierie costiere, ecc.). Come abbiamo accennato la discussione sul loro costo/efficacia è ancora in corso e quindi non possiamo che seguirne con interesse lo sviluppo nei prossimi anni.
La Marina Americana ha però espresso anche la necessità di avere mezzi molto veloci per il trasferimento di uomini e materiali nei vari teatri operativi d’interesse e per questo in pieno accordo con l’U.S. Army sta mettendo in servizio i Joint high speed vessel (JHSV), che sono piattaforme non convenzionali da circa 1.500 tonnellate che possono trasportare a velocità di circa 43 nodi sino a 312 uomini od equivalenti carichi. Per ora ne sono state pianificate 10 unità con propulsione diesel (motori MTU) e la loro autonomia è di circa 1.200 miglia, caratteristica quest’ultima che ne fa un mezzo di un certo interesse strategico potendo diventare un fattore di potenza nel trasporto intra-teatro. Come vediamo si tratta di una concezione diversa della caratteristica “velocità” che non riguarda condizioni di combattimento, ma quelle oggi ugualmente importanti del sostegno logistico delle forze oltremare. In conclusione sembra che anche in questo XXI secolo la spinta velocità per le unità navali possa tornare ad essere una caratteristica importante anche se, come sempre, pagata ad alto prezzo (pare che un JHSV costi circa 214 milioni di dollari per unità).
Pier Paolo RamoinoVedi tutti gli articoli
L'ammiraglio Ramoino è Vice Presidente del Centro Universitario di Studi Strategici e Internazionali dell'Università di Firenze, Docente di Studi Strategici presso l'Accademia Navale di Livorno e cultore della materia presso la Cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del S. Cuore a Milano. Dal 1982 a tutto il 1996 ha ricoperto le cattedre di Strategia e di Storia Militare dell'Istituto di Guerra Marittima di Livorno, di cui è stato per dieci anni anche Direttore dei Corsi di Stato Maggiore. Nella sua carriera in Marina ha comandato diverse unità incluso il caccia Ardito e l'Istituto di Guerra Marittima.